Hong Kong, Xinjiang, Tibet: esperti Onu denunciano la repressione di Pechino

Ben 50 esperti chiedono che il Consiglio Onu per i diritti umani agisca. Pechino deve cancellare la legge sulla sicurezza. Denunciata anche la “generale repressione della popolazione”, con il sequestro di difensori dei diritti umani, i campi di lavoro forzato, la censura, interferenza nella vita privata dei cittadini. Abusi e prigione per giornalisti e personale medico che hanno osato parlare dell’epidemia di coronavirus.


Ginevra (AsiaNews/Agenzie) – Decine di esperti Onu indipendenti hanno chiesto un’azione urgente al Consiglio Onu per i diritti umani per frenare la repressione che la Cina opera sulle libertà fondamentali della sua popolazione, in particolare su Hong Kong, lo Xinjiang, il Tibet.

In una dichiarazione diffusa ieri, i circa 50 esperti hanno denunciato “la repressione delle proteste a sostegno della democrazia” ad Hong Kong e chiedono a Pechino di cancellare la legge sulla sicurezza nazionale che essa vuole imporre sul territorio.

Essi hanno denunciato pure “l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, l’uso di agenti chimici contro i dimostranti, gli abusi sessuali e assalti a donne dimostranti nelle stazioni di polizia, e le violenze verso i gruppi di emergenza sanitaria”.

Quanto detto dagli esperti non è la voce ufficiale dell’Onu, ma essi sono persone che l’organismo internazionale usa per compiere inchieste, relazioni, raccogliere dati nei vari Paesi.  Per essi “è tempo per una rinnovata attenzione sulla situazione dei diritti umani nel Paese” e citano, oltre che Hong Kong, anche il Tibet, dove è in atto quello che il Dalai Lama definisce un “genocidio culturale”, e lo Xinjiang, dove oltre un milione di uiguri sono tenuti in campi di lavoro forzato.

Gli esperti ricordano anche la “generale repressione della popolazione”, con il sequestro di difensori dei diritti umani, i campi di lavoro forzato, la censura, interferenza nella vita privata dei cittadini.

Fra le vittime della repressione, gli esperti citano anche giornalisti, medici e infermieri che hanno dato l’allarme e parlato dell’epidemia di coronavirus e sono stati costretti al silenzio o all’arresto.