Baabda, sunniti e cristiani di opposizione boicottano il summit. Timori per una guerra civile
di Fady Noun

L’incontro promosso dal presidente Aoun per rilanciare il dialogo nazionale ha fallito le attese. Sul terreno restano le divisioni emerse nelle scorse settimane, sfociate nei violenti scontri di piazza Beirut e Tripoli. Le responsabilità collettive dell’establishment politico, incapace di ragionare in un’ottica di unità. La questione irrisolta del partito militante sciita Hezbollah.


Beirut (AsiaNews) - Nel palazzo presidenziale a Baabda si è tenuto ieri un incontro nazionale straordinario, su iniziativa del capo dello Stato Michel Aoun e con il sostegno attivo del presidente della Camera Nabih Berry. Destinato a responsabilizzare le forze politiche di fronte a un clima di rivolta che minaccia l’unità nazionale, questo appello non è riuscito però a raccogliere l’unanimità fra le forze politiche. All’evento sono stati invitati gli ex capi di Stato, i leader di governo del passato, i vertici dei partiti e dei blocchi parlamentari e il vice-presidente della Camera. Tuttavia gli ex capi di governo, che rappresentano la stragrande maggioranza della comunità sunnita, non hanno risposto all’appello. Allo stesso modo, i leader rappresentativi delle comunità cristiane che sono all’opposizione, come Samir Geagea e Samy Gemayel. 

Nel comunicato diffuso dall’ufficio presidenziale la settimana scorsa e che annunciava l’appuntamento di ieri, si leggeva che lo scopo era di prevenire la ripetizione degli “straripamenti” che, il 6 giugno 2020, hanno quasi incendiato alcuni distretti di Beirut e Tripoli. Manifestazioni risvegliate dalle divisioni di natura confessionale e che hanno visti opposti, a Beirut, Tarik Jadidé e Barbou, dei quartieri a maggioranza sunnita e sciita, e che hanno registrato la comparsa di civili armati per le strade.

La frapposizione dell’esercito fra i due quartieri ha impedito il peggio. I soldati hanno al tempo stesso impedito che gli scontri degenerassero, in quel frangente, su una delle vecchie linee di demarcazione che separano due quartieri a maggioranza cristiana e musulmana di Beirut, Aïn el-Remmané e Chyah. Fonti vicine al capo dello Stato affermano che dal 6 giugno scorso, e a causa di alcuni rapporti che sono arrivati sulla sua scrivania, il presidente sente che il Paese gli sta sfuggendo dalle mani. Ed è per questo che egli ha desiderato comunicare le proprie inquietudini a tutte le forze politiche, chiedendo loro di unirsi per sbarrare la strada a tutto ciò che minaccia l’unità e la sicurezza del Paese.

Nel suo intervento in apertura dell’incontro a Baabda, ieri, il presidente ha riecheggiato in modo chiaro lo spettro della “guerra civile”. “È con grande preoccupazione - ha detto all’inizio della riunione - che abbiamo assistito a un ritorno di certi segnali indicatori del rischio di una guerra civile”. La stabilità, ha proseguito, in tema di sicurezza “è essenziale e rappresenta una condizione per la stabilità economica, finanziaria, monetaria e sociale del Paese […] Lottare contro la sedizione e i tentativi di creare il caos è responsabilità di tutte le componenti della società” prosegue ancora il comunicato finale, pubblicato al termine della riunione. A questo si aggiunge il richiamo al governo e alle forze di opposizione a “lavorare insieme per salvare il Paese” da una crisi sociale “più pericolosa della guerra stessa”. 

È ovvio che tutte le forze politiche in Libano sottoscrivono questo appello. Tuttavia, se gli ex capi di governo (sunniti) e l’opposizione cristiana non hanno raccolto l’invito del presidente, ciò che è sembrato mancare davvero in questo incontro straordinario è un ordine del giorno chiaro, per dare ai partecipanti la possibilità di esprimersi su quella che sembra essere una delle cause, sebbene indiretta, di questo clima di rivolta. Inoltre, nei giorni che hanno preceduto la riunione il patriarca maronita, il card Beshara Raï, cosciente delle reticenze di qualcuno, aveva proposto al capo dello Stato di rinviare di qualche giorno l’appuntamento “al fine di ultimare i preparativi necessari” al suo svolgimento. Il leader della Chiesa maronita suggeriva inoltre di indicare, fra le costanti del Paese che ha dovuto adottare per rafforzarsi, quello della sua “neutralità” a livello geopolitico. 

Si tratta, in questo caso, di una questione particolarmente delicata perché solleva in modo automatico quella dello status di Hezbollah, alleato della Corrente Patriottica Libera (Cpl), partito armato la cui presenza pesa in modo grave sul Paese, la sua società, l’economia e la politica. Ed è proprio il “tabù” che ruota attorno a questa questione, che il capo dello Stato aveva promesso di sollevare nel primo periodo successivo alla sua elezione, e che ha spinto alcune personalità invitate a disertare l’incontro. 

La domanda che non smettono di porsi queste forze è che, con la sua sola presenza armata, la sua ideologia politica e la presenza tentacolare, Hezbollah mette in pericolo la nozione stessa di Stato e la pace civile. Lo fa battendo sul tasto della neutralità del Libano, influenzandone la politica estera, alienandogli il sostegno degli Stati Uniti, circondando le sue frontiere terrestri, aeree e marittime, e paralizzando per proprio tornaconto personale la sua economia.

Facendo orecchie da mercante a queste domande e prestando il fianco al rimprovero di essere il presidente solo di una parte dei libanesi, il capo dello Stato si è rifiutato di stilare un ordine del giorno chiaro dell’incontro, o di sollevare la questione di una “strategia difensiva” che avrebbe posto l’ala armata di Hezbollah sotto il comando militare libanese. Bisogna al contempo precisare che, per la sorpresa dei presenti, il capo del Cpl Gebran Bassil ha dovuto affermare nel corso della riunione che nessun soggetto deve essere “tabù” e impossibile da discutere, ivi compresa la strategia di difesa. Ciononostante, questa affermazione coraggiosa appare comunque insufficiente per rassicurare l’opposizione.

Privato della sua unanimità, l'incontro del 25 giugno è stato prosciugato di parte della propria forza originaria. Certo, quelli che l’hanno boicottato sono gli ultimi a poter dare lezioni al capo dello Stato. La responsabilità della pericolosa situazione in cui versa il Paese è collettiva e non saranno un “dialogo” o una dichiarazione finale in più a fare la differenza. Per la società civile il rischio che si corre è grande nel voler combattere la crisi con mezzi di polizia. Dobbiamo andare alla radice del problema, ed è quanto né il capo dello Stato né le parti in causa sembrano pronte a fare.

Foto 1: seduta inaugurale del summit di Baabda

Foto 2: Manifestazioni di commercianti a Saïda: 5000 famiglie in difficoltà, 1200 scuole minacciano la chiusura. Crediti: Agence nationale d'information - officielle