Mumbai, dottoressa si suicida: discriminata dalle colleghe perché dalit

Payal Salman Tadvi aveva 26 anni e si stava specializzando in Ostetricia e Ginecologia. Le tre dottoresse sono state sospese. Ufficio episcopale per i dalit: “Impariamo a vedere l’altro come un essere umano”.


New Delhi (AsiaNews) – Una giovane dottoressa di Mumbai ha deciso di togliersi la vita perché non riusciva più a sopportare gli insulti dei colleghi, che la denigravano per le sue origini tribali. La vittima si chiamava Payal Salman Tadvi, aveva 26 anni, e apparteneva alla comunità adivasi Tadvi Bhil, una di quelle inserite negli elenchi delle comunità svantaggiate. Lavorava al nosocomio pubblico BYL Nair Hospital e frequentava il secondo anno di specializzazione in Ostetricia e Ginecologia.

Ad AsiaNews p. Z. Devasagayaraj, segretario nazionale dell’Ufficio per i dalit e le caste svantaggiate della Conferenza episcopale indiana (Cbci), afferma: “Condanniamo gli insulti pronunciati in qualsiasi luogo per denigrare le origini castali della persona. L’India ha bisogno di crescere, di maturare. Non parlo solo di crescita da punto di vista economico, ma soprattutto di crescita sociale. Deve imparare a essere davvero inclusiva, a rispettare l’altro. Se non si guarda all’altro come a essere umano, lo si vedrà solo come a un membro di una casta, un dalit, un musulmano o un tribale. Qui si tratta di una discriminazione per nascita”.

Il suicidio della dottoressa è avvenuto il 22 maggio. Il gesto disperato apre uno spiraglio inedito sulle discriminazioni castali anche nei ranghi più alti della società indiana. La divisione in caste è stata abolita dalla Costituzione del 1950, ma la discriminazione dei dalit e dei tribali sono ancora radicate nella mentalità. Agli ex “intoccabili” essi vengono riservati i lavori più umili e le mansioni considerate più degradanti, come la raccolta manuale degli escrementi. Dati del governo riportano che su 1,2 miliardi di abitanti, 201 milioni appartengono alle comunità svantaggiate.

La madre della vittima ha raccontato che la figlia soffriva da tempo per le offese subite dagli altri medici, in particolare tre colleghe anziane. “Ogni volta che parlavamo al telefono – sostiene – mi diceva che tre dottoresse la torturavano perché lei apparteneva alla comunità tribale e usavano un linguaggio volgare nei sui confronti”.

Il dott. Salman Tadvi, assistente all’R. N. Cooper Hospital di Mumbai, è il marito della dottoressa suicida. Egli racconta che le loro nozze erano state celebrate nel 2016 e che le molestie nei confronti di sua moglie erano iniziate subito dopo l’arrivo in ospedale. “Le colleghe – dice – andavano in bagno e poi strofinavano i piedi sul suo materasso. Quando si assentava per qualche minuto, la deridevano accusandola di perdere tempo con suo marito”.

L’Associazione dei medici del Maharashtra (Mard) ha sospeso le tre accusate: si tratta delle dottoresse Hema Ahuja, Bhakti Mehar e Ankita Khandilwal. Ieri alcune organizzazioni studentesche, tra cui la Students Federation of India, hanno organizzato una manifestazione per chiedere giustizia.

P. Devasagayaraj aggiunge: “Siamo sorpresi che una simile discriminazione sia avvenuta in una grande città come Mumbai, capitale commerciale di tutta l’India. L’aumento dell’intolleranza non è un buon segno per il Paese”. Il leader cattolico parla di “mentalità castale diffusa sia nelle città che nelle aree rurali che sta creando una nuova forma di pensiero fondamentalista, inteso non solo come intolleranza religiosa, ma anche come idea castale di gerarchia”.

La cosa positiva, continua, “è che anche la società civile si è sollevata per condannare le atrocità contro gli esseri umani, dalit compresi. Ciò che prima poteva essere uno sporadico incidente, oggi è diventato all’ordine del giorno. Le persone stanno perdendo la speranza, ma noi non dobbiamo smettere di alzare la voce e condannare. Dobbiamo puntare soprattutto sull’educazione nelle scuole: è lì che insegniamo il rispetto dell’altro, trasmettendo ai bambini il valore dell’uguaglianza”.