Calciatore uiguro torna ad allenarsi dopo 11 mesi nei campi di detenzione

Erfan Hezim è una giovane promessa del calcio cinese. È riapparso sui social con un messaggio di ringraziamento per il governo cinese. Si stima che nello Xinjiang ci siano almeno un milione di prigionieri nei centri di detenzione.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Erfan Hezim, giovane promessa del calcio cinese di etnia uigura, è tornato ad allenarsi sui campi da gioco dopo aver trascorso un periodo di “rieducazione” nei campi di detenzione dello Xinjiang. Dopo un lasso di tempo in cui ha preferito rimanere in silenzio, il calciatore è anche riapparso sui social dove, prima di tutto, ha voluto ringraziare il governo di Pechino e il Partito comunista. “Grazie – ha scritto – per avermi dato un palcoscenico dove posso realizzare i miei sogni”.

Erfan ha 20 anni e gioca nel Jiangsu Suning Football Club, che fa parte della Lega calcio cinese (la Chinese Super League). Il 18 febbraio egli è apparso in due scatti pubblicati sull’account Weibo ufficiale della squadra, mentre si allenava con il gruppo delle riserve.

Il calciatore era sparito dalla circolazione nel febbraio 2018, dopo alcune trasferte in Spagna e a Dubai. In favore della sua liberazione, a giugno si era pronunciata anche la Federazione internazionale dei calciatori professionisti (FIFPro), che ha chiesto il suo “immediato rilascio, così che egli possa riunirsi alla famiglia e continuare la carriera nel calcio”.

Il giovane è uno dei circa un milione di uiguri, minoranza musulmana turcofona della Cina nord-occidentale, rinchiusi nei numerosi centri di detenzione extra-giudiziari dello Xinjiang. Negando qualsiasi illecito, i funzionari cinesi descrivono i campi come “centri di formazione professionale” per persone attratte dall’estremismo islamista e dal separatismo.

Da decenni gli attivisti lamentano che la popolazione dello Xinjiang è sottomessa a una colonizzazione forzata di tipo militare e amministrativo da parte di Pechino. La loro repressione sociale e religiosa, è motivata con la lotta al “terrorismo” e al “separatismo”. Nello Xinjiang esistono sparuti gruppi di indipendentisti, ma la maggioranza della popolazione vorrebbe solo una maggiore autonomia. Per tutta risposta, da alcuni anni la politica di Pechino verso gli uiguri è divenuta ancora più aspra in controlli, registrazione del proprio Dna, sequestro dei passaporti, divieti ai giovani di frequentare le moschee e di seguire i digiuni islamici.