Yangon, il card. Bo sui conflitti in Myanmar: Guarire, non aprire nuove ferite

Il Paese stia attraversando “una fase storica impegnativa”. Il primo porporato del Myanmar rinnova il sostegno al governo civile di Aung San Suu Kyi e sottolinea “l’importante” ruolo dei militari nella transizione democratica. L’invito alla comunità internazionale: “Abbiamo bisogno di cooperazione e accompagnamento, parole come ‘genocidio, pulizia etnica, sanzioni, Icc’ non aiutano”.


Yangon (AsiaNews) – La storia del Myanmar “è una storia ferita. È tempo di guarire, non di aprire nuove ferite”. È quanto afferma il card. Charles Maung Bo (foto), arcivescovo di Yangon, nell’appello inviato oggi a “quanti siano interessati alla pace” nel Paese.

Il primo porporato del Myanmar sottolinea come il Paese stia attraversando “una fase storica impegnativa”. “Il popolo attende da tempo una significativa libertà e sviluppo umano – afferma – I giovani attendono nuove opportunità di sviluppo. Gli studenti attendono un'istruzione di qualità. Milioni di giovani attendono opportunità di lavoro remunerative. Migliaia di lavoratori migranti attendono il ritorno alla casa dei loro sogni. Un Paese attende con speranza. Un Paese attende una nuova alba di pace globale”.

Il card. Bo ripercorre le sfide che hanno segnato il suo popolo sin dal tempo della colonizzazione ed individua nei conflitti, negli spostamenti forzati e nella migrazione ciò che ha ferito la nazione. L’arcivescovo di Yangon ricorda tuttavia che “dal 2010, segnali di speranza hanno fatto breccia all’orizzonte”. Tra questi vi è stato nel 2016 l’insediamento del governo democratico, per il quale “il processo di pace è stato un mandato urgente”. “La democrazia deve irrobustirsi. È ancora nella sua infanzia”, dichiara il porporato rinnovando il suo sostegno alla leader democratica Aung San Sui Kyi. “Nelle sue mani – prosegue – il popolo del Myanmar ripone la speranza in un Paese di pace e prosperità. Esso spera che [la Signora] completi il suo mandato portando comprensione tra governo civile, esercito e clero buddista per una pace duratura”. Affinché ciò avvenga, il ruolo dell'esercito nella transizione democratica è “molto importante”: “Governo civile e militari devono collaborare, per rendere questo Paese una nazione di speranza per milioni di persone”.

Il card. Bo cita anche un comunicato congiunto, rilasciato lo scorso 23 agosto da Conferenza episcopale (Cbcm), il Consiglio delle Chiese (Mcc), Alleanza Cristiana Evangelica (Meca) e Cooperazione per la Missione di Cristo. Il documento afferma: “Nella presente situazione, sentiamo che elementi distruttivi, pressioni e turbamenti indebiti ostacolano la costruzione della pace tra le diverse entità e gli sforzi dell'Unione per costruire un'Unione federale democratica”. Alludendo poi ai conflitti etnici ed alle emergenze umanitarie che affliggono il Paese, come quelle negli Stati di Rakhine e Kachin, l’arcivescovo critica l’uso di “termini estremi”. “[Parole come] Genocidio, pulizia etnica, sanzioni, Icc non aiutano nel nostro cammino verso la pace e la democrazia – prosegue – Comprendendo le nostre situazioni delicate, abbiamo bisogno di cooperazione e accompagnamento da parte della comunità internazionale”. Concludendo il suo appello, il card. Bo afferma: “Il Myanmar è una nazione di promesse. Lasciate che tutti contribuiamo ad adempierle. Andiamo avanti”.