Ex seminarista Pime soccorre gli alluvionati del Kerala: Accanto al dolore, armonia e amore
di Biju Veticad

Biju Veticad è tornato a maggio per essere d’aiuto agli altri. Di fronte al disastro naturale provocato dalle piogge monsoniche, si è subito attivato con la diocesi di Changanacherry per portare soccorso. In casa sua ospita due famiglie indù e una musulmana.


Changanacherry (AsiaNews) – Con il bilancio delle vittime dell’alluvione arrivato a circa 410 e oltre un milione di sfollati ammassati nei campi profughi, il Kerala è in ginocchio. Da un paio di giorni le piogge monsoniche hanno messo di cadere incessanti, ma nello Stato indiano tutto è al collasso: strade scomparse, case e raccolto distrutti.

Da più parti iniziano anche ad arrivare critiche al governo centrale di Narendra Modi. Esperti di fama mondiale sostengono che l’alluvione era una tragedia annunciata e che l’amministrazione ha sottovalutato i segnali provocati dal cambiamento climatico. Le autorità di Delhi sono sotto la lente d’ingrandimento pure ver deciso di rifiutare aiuti dall’estero: primo tra tutti, quelli degli Emirati arabi uniti, che volevano donare 7 miliardi di rupie (86,6 milioni di euro). Per ora il governo ha sbloccato aiuti per 5 miliardi di rupie (61,9 milioni di euro), mentre una prima valutazione stima le perdite in 86,13 miliardi di rupie (circa 414,5 milioni di euro).

Nel frattempo in Kerala chi ha potuto ha lasciato tutto prima dell’ultima ondata di frane e allagamenti. Chi è rimasto, come Biju Veticad, ex seminarista del Pime (Pontificio istituto missioni estere), si è rimboccato le maniche e insieme alle diocesi si è messo a disposizione delle autorità statali. Ecco il suo racconto.

In Kerala abbiamo avuto una grande calamità, delle alluvioni e delle frane. Nel mese di agosto i monsoni avevano provocato grandi disastri in certe province del Kerala. Alcuni avevano già lasciato le loro case nel distretto di Alappuzha. Tutto sembrava essere tornato alla normalità, invece a metà agosto l’acqua è tornata in modo terribile, tanto che [le autorità] hanno dovuto aprire 27 dighe dello Stato [il numero aggiornato di bacini aperti è di 80, ndr]. Questo ha causato inondazioni in varie città – dal nord al sud del Kerala.

Questo fenomeno è durato per giorni. L’acqua era salita fino al secondo piano delle case e la gente è dovuta salire sui tetti e sulle terrazze.  In più c’erano le frane che portavano via le case in varie parti del Kerala. È successo anche nella zona di P. Sabu.

I soccorritori vanno in giro con le barche nelle città. Da due giorni l’acqua sta scendendo. Gli sfollati sono ancora nei centri di accoglienza. Nelle parrocchie della nostra diocesi (Changanacherry) abbiamo accolto più di 40mila persone che vengono da Kuttanad (distretto di Alappuzha – zona delle Back Waters).

Mi sono messo in contatto direttamente con la nostra città di Changanacherry. Sono impegnato nei centri di accoglienza e poi mi sono recato in alcune periferie abbandonate.

Sono tornato in Kerala nel maggio scorso e volevo essere qua proprio per essere utile agli altri.  A casa mia stiamo ospitando tre famiglie: due indù e una musulmana. Tutti noi non abbiamo mai vissuto un’esperienza del genere.

Accanto al dolore, vivo un’esperienza stupenda dell’armonia e dell’amore. La gente non parla di religione o di politica. E tutti si danno da fare per ciò che possono.

Le nostre parrocchie e la diocesi hanno già avviato il motore per il recupero della zona di Alappuzha. Questa zona rimarrà sott’acqua ancora per qualche settimana.  Essendo in una zona bassa, tutta l’acqua normalmente va a finire verso Kuttanadu – Alappuzha.

P. Sabu mi diceva che la sua famiglia sta bene. Nel Pime abbiamo diversi confratelli e tante consorelle dal Kerala. Siccome ho vissuto in prima persona questa esperienza, ho pensato di condividere con tutti voi e chiedere la vostre preghiere.  Perché il Signore ci dia la forza di recuperare tutto insieme.

Sono aggiornato del crollo del Ponte Morandi [a Genova]. Ricordo l’Italia nella mia preghiera.

Grazie.