Assam, tolta la cittadinanza a 4 milioni di persone. Rischiano la deportazione

Gli esclusi dall’elenco della popolazione sono immigrati bengalesi fuggiti durante la guerra di liberazione del 1971. Devono provare di essere entrati in India prima della dichiarazione d’indipendenza o di essere discendenti residenti in maniera permanente. Esperti: lo scopo è ridurre la popolazione musulmana a vantaggio del partito nazionalista indù.


Guwahati (AsiaNews/Agenzie) – Più di 4 milioni di indiani rischiano di perdere la cittadinanza ed essere espulsi dal Paese se non riusciranno a fornire le prove di essere entrati in Assam prima del 1971, anno della dichiarazione d’indipendenza del Bangladesh. Ieri il National Register of Citizens (Nrc) ha pubblicato una lista in cui mancano i nomi di coloro che sono emigrati in India nel periodo successivo alla guerra di liberazione bengalese. Secondo gli analisti, la decisione di escludere dal conteggio della popolazione gli emigrati bengalesi ha uno scopo ben preciso: modificare la composizione della popolazione dello Stato, riducendo la percentuale dei membri di fede islamica. Una simile esclusione – è l’opinione comune – avvantaggerebbe il partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp) alle elezioni generali del 2019.

La pubblicazione dell’elenco ha gettato nel panico la popolazione, che si sta recando agli uffici pubblici per controllare la presenza del proprio nome nella lista. Il National Register of Citizens è l’anagrafe dell’Assam: l’elenco è stato creato nel 1951 dopo il censimento effettuato lo stesso anno. Esso riporta i dettagli di ogni abitante: nome, età, cognome, abitazioni di proprietà e altri beni.

Dalla fine del conflitto tra Pakistan occidentale e orientale (oggi Bangladesh), l’Assam è stata meta di una massiccia migrazione. Nel 1972 India e Bangladesh firmano un trattato d’amicizia, cooperazione e pace che però non rallenta il flusso dei migranti. Negli anni ’80 diventa urgente risolvere la questione dei milioni di bengalesi fuggiti dalla guerra, che viene portata all’attenzione dell’allora premier Indira Gandhi.

Alla fine, il 15 agosto 1985 viene firmato l’Accordo di Assam che regola la registrazione degli abitanti: sono considerati cittadini indiani tutti i bengalesi che sono entrati tra il primo gennaio 1966 e il 24 marzo 1971 (giorno prima della data d’indipendenza del Bangladesh) e quelli che possono provare di essere discendenti diretti dei rifugiati, ma a condizione di essere nati in India e di risiedervi in maniera permanente.

L’aggiornamento dei dati del registro con i dati raccolti tra il 2014-2016 ha scatenato la crisi odierna. La popolazione avrà tempo per registrare i documenti dal 30 agosto al 28 settembre. Dopo di che, potrebbe scattare l’espulsione.

Secondo gli esperti, la pubblicazione dell’elenco è l’ultimo tentativo del governo di destra del premier Narendra Modi di avvantaggiare la maggioranza indù a scapito delle minoranze. Nello Stato vivono 33 milioni di persone e sono frequenti gli scontri tra maggioranza, gruppi etnici e la guerriglia indipendentista naxalite (termine usato per indicare i comunisti maoisti indiani). I bengalesi, in gran parte musulmani, vivono nelle zone paludose del fiume Brahmaputra e – se anche dovessero esistere – i loro documenti sono spesso inaccurati.

Il ministro degli Interni Rajnath Singh ha invitato a non diffondere il panico perché “non verrà attuata alcuna azione di forza contro nessuno”. Gli attivisti di Avaaz (gruppo con base negli Usa) fanno notare che le procedure per presentare i documenti potrebbero richiedere molto tempo. “Pare che solo i musulmani – dice il direttore Ricken Patel – debbano passare attraverso un processo così complicato e ingiusto, senza diritto a ricevere sostegno e con la paura di dover andare via se dovessero perdere”.