Papa: il sacerdote non deve ‘colpevolizzare’, né ‘inquisire’ il penitente

Francesco ha incontrato e celebrato messa con i Missionari della Misericordia. La misericordia liberando dal peccato restituisce  dignità e “infonde la certezza che l’amore con cui Dio ama sconfigge ogni forma di solitudine e di abbandono”.


Città del Vaticano (AsiaNews) – La misericordia liberando dal peccato restituisce  dignità e “infonde la certezza che l’amore con cui Dio ama sconfigge ogni forma di solitudine e di abbandono”. E il sacerdote, “collaboratore di Dio” nel dare misericordia non deve “colpevolizzare”, né “inquisire” il penitente, ma incoraggiarlo a guardare al futuro “con occhi nuovi”, con fiducia e impegno, nella consapevolezza che il Signore “non potrà mai abbandonare nessuno: il suo amore sarà sempre lì, vicino, più grande e più fedele di ogni abbandono”.

Il “servizio” della Misericordia è stato al centro dell’incontro che papa Francesco ha avuto stamattina con oltre 550 Missionari della Misericordia provenienti dai 5 continenti, con i quali, poi, ha celebrato messa in san Pietro.

Ai Missionari, costituiti in occasione del Giubileo straordinario, Francesco ha innanzi tutto ricordato di essere “collaboratori di Dio” in quanto  portatori “a nome di Cristo” il messaggio di “fare pace con Dio. Il nostro apostolato è un appello a cercare e ricevere il perdono del Padre. Come si vede, Dio ha bisogno di uomini che portino nel mondo il suo perdono e la sua misericordia”. E “questa responsabilità posta nelle nostre mani richiede uno stile di vita coerente con la missione che abbiamo ricevuto”.

In secondo luogo, ricordando di essere tutti peccatori, bisogna sempre ripartire da un   “punto fermo: Dio mi ha trattato con misericordia. È questa la chiave per diventare collaboratori di Dio. Si sperimenta la misericordia e si è trasformati in ministri della misericordia. Insomma, i ministri non si mettono sopra gli altri quasi fossero dei giudici nei confronti dei fratelli peccatori”. Un vero missionario della misericordia sa che “Dio ha scelto me; Dio si fida di me; Dio ha riposto la sua fiducia in me chiamandomi, nonostante sia un peccatore, a essere suo collaboratore per rendere reale, efficace e far toccare con mano la sua misericordia”.

Il Missionario, poi, sa che “la riconciliazione non è, come spesso si pensa, una nostra iniziativa privata o il frutto del nostro impegno. Se così fosse, cadremmo in quella forma di neo-pelagianesimo che tende a sopravvalutare l’uomo e i suoi progetti, dimenticando che il Salvatore è Dio e non noi. Dobbiamo ribadire sempre, ma soprattutto riguardo al sacramento della Riconciliazione, che la prima iniziativa è del Signore; è Lui che ci precede nell’amore”. Quindi, “quando si accosta a noi un penitente, è importante e consolante riconoscere che abbiamo davanti a noi il primo frutto dell’incontro già avvenuto con l’amore di Dio, che con la sua grazia ha aperto il suo cuore e lo ha reso disponibile alla conversione”. Perciò “non c’è bisogno di far provare vergogna a chi ha già riconosciuto il suo peccato e sa di avere sbagliato; non è necessario inquisire, là dove la grazia del Padre è già intervenuta; non è permesso violare lo spazio sacro di una persona nel suo relazionarsi con Dio”.

“Il nostro compito – e questo è un secondo passo – consiste nel non rendere vana l’azione della grazia di Dio, ma sostenerla e permettere che giunga a compimento. A volte, purtroppo, può capitare che il sacerdote, con il suo comportamento, invece di avvicinare il penitente lo allontani. Ad esempio, per difendere l’integrità dell’ideale evangelico si trascurano i passi che una persona sta facendo giorno dopo giorno”.

La misericordia, “che esige l’ascolto, permette poi di guidare i passi del peccatore riconciliato. Dio libera dalla paura, dall’angoscia, dalla vergogna, dalla violenza. Il perdono è realmente una forma di liberazione per restituire la gioia e il senso della vita”.

“È questa certezza tipica dell’amore che siamo chiamati a sostenere in quanti si avvicinano al confessionale, per dare loro la forza di credere e sperare. La capacità di saper ricominciare da capo, nonostante tutto, perché Dio prende ogni volta per mano e spinge a guardare avanti. La misericordia prende per mano, e infonde la certezza che l’amore con cui Dio ama sconfigge ogni forma di solitudine e di abbandono. Di questa esperienza, che inserisce in una comunità che accoglie tutti e sempre senza alcuna distinzione, che sostiene chiunque è nel bisogno e nelle difficoltà, che vive la comunione come fonte di vita, i Missionari della misericordia sono chiamati a essere interpreti e testimoni”.

All’omelia della messa celebrata più tardi con i Missionari, Francesco, ha commentando il passo del Vangelo di Giovanni (3,7b-15) nel quale Gesù dice a Niccodemo «In verità ti dico: dovete rinascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito», ha rilevato che emergono “due aspetti inseparabili: la rinascita personale e la vita della comunità”. Sono le direzioni nelle quali si muove il servizio dei Missionari della Misericordia.

“Il Vangelo ricorda che chi è chiamato a dare testimonianza della Risurrezione di Cristo deve lui stesso, in prima persona, ‘nascere dall’alto’”. “Questo significa lasciare veramente il primato al Padre, a Gesù e allo Spirito Santo nella nostra vita. Attenzione: non si tratta di diventare preti ‘invasati’, quasi che si fosse depositari di un qualche carisma straordinario. No. Preti normali, semplici, miti, equilibrati, ma capaci di lasciarsi costantemente rigenerare dallo Spirito, docili alla sua forza, interiormente liberi – anzitutto da sé stessi – perché mossi dal ‘vento’ dello Spirito che soffia dove vuole (cfr Gv 3,8)”.

Quanto al servizio alla comunità, ciò comporta “essere preti capaci di ‘innalzare’ nel ‘deserto’ del mondo il segno della salvezza, cioè la Croce di Cristo, come fonte di conversione e di rinnovamento per tutta la comunità e per il mondo stesso (cfr Gv 3,14-15). In particolare, vorrei sottolineare che il Signore morto e risorto è la forza che crea la comunione nella Chiesa e, tramite la Chiesa, nell’intera umanità”.

“In effetti, sia la Chiesa sia il mondo di oggi hanno particolarmente bisogno della Misericordia perché l’unità voluta da Dio in Cristo prevalga sull’azione negativa del maligno che approfitta di tanti mezzi attuali, in sé buoni, ma che, usati male, invece di unire dividono. Noi siamo convinti che «l’unità è superiore al conflitto» (Evangelii gaudium, 228), ma sappiamo anche che senza la Misericordia questo principio non ha la forza di attuarsi nel concreto della vita e della storia”.