Giovane pakistano: Dono la mia vita a Dio che mi ha salvato
di Anna Chiara Filice

Daniel Bashir coordina il movimento dei giovani missionari laici e sta per entrare in seminario. Da piccolo non riusciva a parlare e aveva “grande dolore nel cuore”. “Nella Bibbia troviamo le risposte alle nostre domande”. “Riconciliarsi con il Signore attraverso la confessione”.


Città del Vaticano (AsiaNews) – “Ho deciso di donare la mia vita al servizio di Dio, perché egli mi ha salvato”. Lo dice ad AsiaNews Daniel Bashir, 28 anni, coordinatore giovanile nazionale di Jesus Youth, il movimento dei missionari laici del Pakistan. Lo abbiamo incontrato a Roma, dove egli ha rappresentato i giovani del suo Paese al Pre-sinodo che si è svolto in Vaticano. Daniel, laureato in Medicina, a giugno entrerà in seminario per iniziare il percorso di formazione sacerdotale. Riguardo la sua vocazione, afferma, “non potevo che dedicare la mia vita al Signore. Egli mi ha salvato quando ero solo, senza amici, mi vergognavo perché non riuscivo a parlare bene ed ero arrabbiato con me stesso. Ma poi nel 2003 mia mamma mi ha portato in chiesa e io, di fronte a Cristo eucaristico, mi sono affidato a lui perché mi guarisse. E senza l’aiuto di medici, a poco a poco ho ripreso l’uso della parola”.

Daniel racconta di aver avuto problemi di logopedia fin dalla nascita: “Non riuscivo a parlare bene e con mia madre mi intendevo a gesti. Tramite un semplice cenno, lei capiva cosa desideravo. Ma in quella situazione non avevo amici, ero totalmente senza speranza. Mi vergognavo e provavo dolore nel cuore. Un giorno sono andato in chiesa e ho ascoltato il messaggio del sacerdote. Era prima di Pentecoste e i discepoli erano soli, ma poi lo Spirito Santo è sceso su di loro, riuniti con la Vergine Maria”. In quell’istante, continua, “io ho avvertito di essere nella stessa situazione: non avevo amici, ero solo e con tanta paura nel cuore. Mi sono rivolto a Cristo eucaristico e gli ho detto: ‘Sono uno strumento nelle tue mani, per favore usami’. Da quel giorno ho iniziato a migliorare a poco a poco. È stato un grande miracolo per la mia vita”.

La chiamata vocazionale “è arrivata il 2 dicembre 2012, mentre mi trovavo ad un raduno di giovani a Dubai, negli Emirati Arabi. Dovevo parlare di fronte ad un pubblico di 300 persone e ho realizzato quanti passi avessi fatto da quando nemmeno parlavo. Ho iniziato a piangere perché sapevo che era tutta opera di Cristo. Ho avvertito la grazia di Dio sopra di me e ho capito che volevo servirlo e diventare sacerdote. La mia famiglia mi ha sostenuto in questa decisione, anche se prima mi hanno spinto a finire gli studi. Ora, grazie a Dio, sono un medico e potrò essere un sacerdote al servizio dei malati”.

Il giovane da anni è attivo nel gruppo di missionari laici. L’impegno gli ha consentito di viaggiare in diversi Paesi asiatici e incontrare altri ragazzi come lui. “Come missionario cattolico, ho visitato diverse città del Pakistan e mi sono recato in Thailandia, Sri Lanka e anche negli Emirati arabi per un anno. Con l’aiuto dei vescovi, organizziamo incontri di formazione biblica”. Il motivo, spiega, “è che sulla terra abbiamo tre compiti: conoscere, amare e servire Dio. Ed è nella Bibbia che troviamo le risposte alle nostre domande”. Come leader cattolico, “invito altri giovani a venire in chiesa, assistere alla messa e riconciliarsi con il Signore attraverso il sacramento della confessione”.

In Pakistan, riporta, “la Chiesa è molto attiva grazie all’atteggiamento dei vescovi, che hanno grandi piani per i giovani. Inoltre nel 2018 celebriamo l’Anno dell’Eucarestia, e poniamo l’attenzione su due aspetti: adorazione e confessione”. Per quanto riguarda poi la predicazione del Vangelo, afferma “che nel Paese è molto facile grazie ai vari canali televisivi che diffondono il messaggio cristiano a tutte le ore, proiettando la celebrazione della messa, le preghiere e i servizi liturgici. Spero che i giovani si impegnino di più all’interno della Chiesa, ma anche negli studi perché oggi nella società pakistana mancano delle figure professionali esperte tra i cattolici”. Allo stesso tempo, conclude riferendosi ai recenti casi di blasfemia, “bisogna stare molto attenti con l’uso dei social media. Come cattolici pakistani, dobbiamo rispettare il Paese e la religione ufficiale della nazione in cui viviamo. Dobbiamo rispettare le religioni altrui e chiediamo il rispetto della nostra”.