Liberalizzazione del mercato tessile: pochi vantaggi in Asia; grandi problemi in Africa

Indagine dell'Ilo: aumenta l'export per India e Cina ma anche per altri Stati asiatici. Gravi perdite per i Paesi dell'Africa, ma anche per ditte europee e degli Stati Uniti.


Ginevra (AsiaNews/Agenzie) – Cina e India beneficiano per la fine delle quote nell'export del settore tessile. Bene anche Bangladesh e alcuni Paesi asiatici. Stati Uniti ed Europa perdono posti di lavoro, ma le conseguenze peggiori sono per l'Africa. E' quanto rivela il rapporto dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), reso noto in questi giorni a Ginevra.

A gennaio 2005 è stato tolto il limite alle esportazioni per i prodotti tessili. Il settore impiega oltre 40 milioni di persone  nel mondo con un fatturato di circa 350 miliardi di dollari Usa.

Il rapporto, su "La promozione del mercato globale per prodotti tessili e vestiti dopo la fine dell'Accordo multi-fibre", rileva che India e Cina hanno registrato il maggior aumento nelle esportazioni verso i Paesi più ricchi. Le loro esportazioni hanno rallentato dopo i primi 3 mesi del 2005, segno  che le sanzioni di Stati Uniti e Unione Europea verso la Cina hanno avuto efficacia. La Cina, in specie, ha mostrato un'evoluzione da un sistema di "industrie di manifattura con lavoro intensivo" verso "industrie con maggior valore aggiunto".

Gli altri Stati dell'Asia hanno pure subito la concorrenza di questi 2 colossi. Il Bangladesh – nel quale il settore tessile rappresenta oltre il 76% delle esportazioni - ha visto diminuire le esportazioni di 57 milioni di dollari a gennaio, ma un aumento di 157 milioni di dollari in febbraio e un'ulteriore crescita a marzo. Anche Pakistan, Indonesia e Sri Lanka hanno avuto un aumento delle esportazioni. Per la Cambogia un incremento superiore al 40%, ma per merce di poco valore.

Altri Stati, come Filippine e Malaysia, hanno registrato una contrazione delle esportazioni. Situazione stagnante per il Vietnam, che ancora non aderisce all'Organizzazione mondiale del commercio e subisce in parte il sistema delle quote.

Gli Stati africani hanno subito un drastico declino. Negli anni scorsi erano stati favoriti dalle esenzioni fiscali applicate ai loro prodotti dagli Stati Uniti tramite l'Africa Growth and Opportunity Act (Agoa) e ai massicci investimenti operati da Paesi asiatici (come la Cina, per aggirare le quote limite all'esportazione). Nei primi 3 mesi del 2005 le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite del 25% rispetto a un anno prima, dato corrispondente all'aumento (+19%) avuto dall'export cinese nello stesso periodo.

In Kenya sono stati persi 6 mila dei 39 mila posti di lavoro esistenti nell'ottobre 2004. Nel Lesotho sono stati licenziati il 10% dei 5 mila dipendenti e altri 10 mila lavorano e sono pagati solo quando c'è richiesta. Il Madagascar ha perso 5 mila dei suoi 85 mila posti lavoro (ma teme di perderne 20 mila entro il 2005). Per il Marocco si prevede, se permane l'attuale situazione, una perdita tra il 10 e il 25% dei posti di lavoro del settore.

La Cina opera per aggirare l'imposizione di quote e valuta la collaborazione con industrie in Bangladesh, Marocco e Tunisia. (PB)