Pakistan, il processo di Asia Bibi potrebbe riprendere a giugno
di Kamran Chaudhry

La madre cristiana incolpata di blasfemia langue da sette anni nel braccio della morte. La sua udienza finale è stata rimandata a data da stabilire dopo il ritiro di un giudice. Il caso di Asia Bibi di nuovo al centro dell’opinione pubblica dopo la richiesta di alcuni imam di eseguire la condanna a morte per impiccagione.


Lahore (AsiaNews) – Il processo di Asia Bibi, la madre cristiana condannata a morte per impiccagione per presunta blasfemia, potrebbe riprendere a breve, forse nella prima settimana di giugno. Lo ha dichiarato Saiful Malook, difensore della donna rinchiusa da sette anni nel braccio della morte e in attesa di giudizio. L’avvocato riferisce che “la richiesta di riaprire l’udienza è stata presentata al presidente della Corte suprema del Pakistan la scorsa settimana. Il caso continua a essere rimandato a causa dei problemi di questo Paese. Siamo nel mezzo di una continua guerra tra l’islam e i kufr (infedeli). Ma le nostre speranze per la sua liberazione sono molte”.

Ad AsiaNews l'avvocato parla della riapertura della causa davanti ai giudici della Corte suprema. I suoi commenti giungono in seguito a trasmissioni televisive in cui alcuni commentatori politici hanno discusso dell’abuso delle leggi che puniscono le offese al profeta Maometto e del clima di intolleranza presente nella società.

Lo scorso ottobre 2016 i giudici del Tribunale supremo hanno rinviato il processo contro Asia Bibi a data da stabilire. La corte, composta da tre giudici e guidata da Mian Saqib Nisar, ha deciso di rimandare l’udienza finale dopo che uno dei magistrati – Iqbal Hameed-ur-Rehman – si è ritirato dal caso, sostenendo che era stato membro anche della corte che ha deciso sulla vicenda giudiziaria di Salmaan Taseer, il defunto governatore della provincia del Punjab.

I riflettori su Asia si sono riaccesi questa settimana, dopo le dichiarazioni feroci di alcuni imam di spicco che ne chiedevano l’esecuzione come “deterrente” per le violenze che hanno portato al linciaggio di Mashal Khan. Lo studente dell’università di Mardan è stato ucciso, denudato e torturato per presunto inneggiamento alla fede ahmadi.

Il rev. Jimmy Mathew, vescovo luterano di Mardan, afferma che le leggi sulla blasfemia “fanno soffrire sia le minoranze religiose che la maggioranza. C’è paura e confusione totale. Inoltre la polizia e le autorità dell’ateneo continuano a rimpallarsi la responsabilità della morte dello studente”. Il reverendo lamenta che “i tribunali e le forze di sicurezza diventano attivi solo quando la violenza è già avvenuta”, mentre “persone come Asia Bibi continuano a soffrire nonostante le prove a loro carico siano insufficienti. L’accusa di blasfemia è essa stessa una condanna a morte”.

Infatti in Pakistan il solo sospetto di offese al profeta può scatenare la reazione dei musulmani più radicali. Per questo motivo gli intellettuali liberali e blogger rapiti a gennaio e liberati dopo un mese, su cui pende un processo per blasfemia, sono scappati dalla madrepatria o hanno fatto perdere le proprie tracce. L’unico che ha avuto il coraggio di uscire allo scoperto, Ahmad Waqas Goraya, ha parlato di torture inaudite. Egli teme inoltre che la violenta campagna attuata contro di lui dagli estremisti islamici su radio e canali televisivi, che lo dipingono come blasfemo, possa perseguitarlo fino in Europa, dove si è rifugiato.