La Costituzione di Erdogan: una deriva totalitaria che preoccupa Europa e opposizione turca
di Luca Galantini

Si inasprisce lo scontro fra Berlino e Ankara, dopo le accuse di “nazismo” lanciate da Erdogan. Il giornale filo-governativo Gunes pubblica una foto della Merkel con le sembianze di Hitler. Le autorità turche arrestano un migliaio di attivisti curdi alla vigilia del Nowruz. Sullo sfondo il voto del 16 aprile. La riflessione di uno studioso e accademico sulle conseguenze della riforma.

 


Milano (AsiaNews) - Continua l’escalation di tensione fra la Turchia e alcune cancellerie dell’Unione europea, in particolare la Germania con cui è in atto da giorni un vero e proprio braccio di ferro diplomatico. Ieri Angela Merkel ha risposto ai nuovi attacchi del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il quale ha reiterato le accuse di “pratiche naziste” a Berlino, per aver negato a ministri turchi il permesso di tenere comizi sul suolo tedesco (casi simili si sono verificati in Olanda).

Al centro della controversia la feroce battaglia referendaria lanciata dal leader turco in vista del voto del 16 aprile che, in caso di vittoria, garantirebbe al presidente poteri pressoché illimitati, stravolgendo l’attuale Carta costituzionale e gli equilibri dello Stato.

Ieri il giornale filo-governativo Gunes ha pubblicato un fotomontaggio della cancelliera con le sembianze, e i baffetti, di Adolf Hitler, rilanciando le accuse alla Germania del presidente Erdogan. Immediata la replica del ministro tedesco degli Esteri Sigmar Gabriel, il quale ha definito “assurdi” gli attacchi verbali, aggiungendo che si è “passato il segno”. 

In risposta agli attacchi, Berlino è pronta a vietare nuovi ingressi ai leader turchi per partecipare a riunioni elettorali pro-Erdogan in Germania. Il governo tedesco, spiega una nota, “si riserva il diritto” di “riesaminare le autorizzazioni”. Ieri, intanto, a Francoforte sono scesi in piazza 30mila dimostranti filo-curdi, che hanno scandito a gran voce la loro opposizione al referendum in Turchia. Immediata la replica - infuriata - di Ankara, che ha convocato l’ambasciatore tedesco per condannare la dimostrazione. Al contempo il presidente turco ha confermato l’intenzione di processare il giornalista turco-tedesco Deniz Yucel, arrestato di recente con l’accusa di essere un terrorista e di incitamento alla violenza pubblica. 

Da segnalare, infine, gli arresti in massa compiuti nei giorni scorsi dalle forze di sicurezza turche fra gli attivisti curdi nel sud-est del Paese, in vista delle celebrazioni per il Nowruz che segnano l’inizio del nuovo anno curdo. Almeno mille persone sono finite in cella; la motivazione ufficiale è legata a operazioni di prevenzione contro “possibili nuovi attacchi” da parte di miliziani del Pkk. In realtà fra gli arrestanti non vi sono combattenti, ma solo attivisti locali e persone attive nella lotta pro diritti umani, insieme a esponenti locali del Partito Democratico dei Popoli (filo-curdo).

In un contesto di repressione e violenza interna, oltre che di tensione internazionale, la Turchia si avvicina all’appuntamento elettorale del 16 aprile. Di seguito, AsiaNew propone la riflessione di un analista e accademico sui cambiamenti alla Costituzione voluti da Erdogan e lo stravolgimento degli equilibri e assetti di potere che ne deriverebbero per il Paese.

L’escalation della infuocata crisi diplomatica innescata tra la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan e le cancellerie di molti Paesi Ue è il riflesso condizionato dell’aspro confronto politico interno che la società turca sta attraversando. Il prossimo 16 aprile gli elettori saranno chiamati ad esprimersi sulla  riforma costituzionale in chiave presidenzialista, voluta con forza da Erdogan, e approvata dal Parlamento lo scorso gennaio.

Tuttavia i voti del partito del presidente, l’Akp (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), uniti a quelli del partito della destra ultranazionalista Mhp, non sono riusciti a raggiungere il quorum necessario dei due terzi dell’assemblea parlamentare, per poter fare entrare in vigore la riforma. Da qui la tambureggiante campagna referendaria, che ha indotto Erdogan a varcare i confini della Turchia attraverso i comizi dei suoi ministri in Europa per ottenere il consenso dei milioni di turchi emigrati nella Ue. Una mossa che ha provocato la ferma reazione dei governi europei.

Il nocciolo della questione della riforma costituzionale ruota attorno ai nuovi, enormi poteri che vengono attribuiti al presidente della Repubblica: competenze che si rendono necessarie, afferma l’Akp, per rafforzare il ruolo dell’esecutivo e consentirgli di fronteggiare gli attentati alla sicurezza dello Stato. Fra questi, il fallito golpe militare del luglio 2016 e il terrorismo di matrice indipendentista curda, oltre che la minaccia dello Stato islamico (SI). Dunque la “giustificazione” ufficiale che motiva questa riforma è data da ragioni di ordine pubblico e sicurezza, per garantire la piena sovranità della Turchia, leitmotiv caro al nazionalismo panturchista.

Ad oggi la Turchia è una Repubblica parlamentare, basata su un modello analogo a quello italiano, in cui il presidente svolge un ruolo più  “notarile” che altro, essendo il Parlamento il centro nodale delle decisioni politiche, da cui dipende lo stesso governo. Questo sistema fu introdotto dalla riforma di Kemal Ataturk, che si ispirava ai sistemi politici occidentali del primo dopoguerra, ed è rimasto inalterato, pur con differenti riforme nei decenni, fino ad oggi.

I pilastri di questo sistema  sono dati dalla garanzia della separazione e indipendenza dei tre poteri dello Stato, quello legislativo del parlamento, quello esecutivo del governo e quello giudiziario della magistratura. A ciò si aggiunga che, per preciso volere di Ataturk, la Costituzione ha sempre riconosciuto alle forze armate, come istituzione posta a guardia della laicità dello Stato, il ruolo di “custode” della Costituzione contro ogni tentazione di deriva religiosa islamica o autoritaria.

Quali sono le principali e sostanziali modifiche della riforma costituzionale tanto voluta da Erdogan, e quali sono i vantaggi che ne potrebbe trarre l’attuale presidente?

In primo luogo il presidente turco diverrebbe anche Primo Ministro, a capo del governo, con il potere di: nomina diretta dei ministri; scioglimento del Parlamento; emanazione di decreti ordinativi in grado di incidere direttamente sui diritti civili e politici dei cittadini, in caso di esigenze di sicurezza nazionale ed ordine pubblico; infine, di dichiarazione dello stato di emergenza. Come è facile intuire, tale concentrazione di poteri nelle mani di una leadership già caratterizzata da un taglio autoritario e autocratico come quella di Erdogan suscita non poche preoccupazioni sia nelle cancellerie internazionali che nella stessa società civile turca. Prova ne sia la necessità che Erdogan ha di racimolare anche i voti degli emigrati in Europa, facendo leva sull’amore patriottico.

La riforma sferra inoltre un duro colpo al principio basilare nelle democrazie della separazione dei poteri, in quanto la magistratura verrebbe assoggettata direttamente al potere politico del presidente della Repubblica. Infatti, a quest’ultimo viene avocato il compito di nomina della metà dei giudici dell’Alta Corte di Giustizia, l’equivalente della nostra Corte Costituzionale, massimo organo di giustizia. Non solo, anche le forze armate subirebbero un ulteriore indebolimento nella loro autonomia, poiché la riforma prevede l’abolizione dei tribunali e dei magistrati militari, che passerebbero di conseguenza sotto il controllo del presidente.

In questo modo viene azzerato il cosiddetto “check and balance”, che in gergo significa il bilanciamento e controllo reciproco tra i diversi poteri dello Stato: Parlamento, governo e magistratura. E le forze armate verrebbero sostanzialmente estromesse dal loro ruolo storico costituzionale di garanti della laicità delle istituzioni.

Ancora, la riforma prevede che il nuovo presidente possa mantenere la carica di leader del proprio partito, a differenza di quanto accade oggi: ciò permetterebbe una fusione ancora più stretta degli interessi particolari di una fazione, creando di fatto una sorta di partito-Stato dalle venature autoritarie di carattere religioso e nazionalista. Un pericolo sottolineato dai pochi commentatori interni non silenziati dalla censura e dalla opposizione kemalista repubblicana in Parlamento.

Infine la messa in stato d’accusa del presidente, il cosiddetto impeachment da parte del Parlamento, imporrebbe delle maggioranze quasi “bulgare”, ovverosia rende quasi impossibile sottoporre a processo il presidente stesso.

Il presidenzialismo in verità è un sistema politico che funziona solamente in democrazie mature, dove i partiti di maggioranza e opposizione in Parlamento sono alieni da ogni tentazione autoritaria o peggio totalitaria, garantendo i rispettivi ruoli di governo e controllo attraverso l’indipendenza dei poteri dello Stato. Lo scetticismo dei governi europei, ma più ancora il timore di una parte consistente dell’opinione turca è del tutto comprensibile di fronte all’arrogante deriva autocratica della politica di Erdogan.