Manifestazioni e critiche da tutto il mondo contro il decreto di Trump sugli immigrati

Dal 27 gennaio e per almeno tre mesi proibita l’entrata a viaggiatori da Yemen, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Iraq. Bloccato per 120 giorni ogni programma di accoglienza per i rifugiati. Manifestazioni alla Casa Bianca e negli aeroporti Usa.  Iran: la scelta di Trump “è un grande regalo agli estremisti”. Malala Yousafzai, premio Nobel per la Pace: L’America volge le spalle al suo passato di accoglienza per rifugiati e migranti.


Washington (AsiaNews) - Una valanga di critiche e diverse manifestazioni in patria e all’estero hanno caratterizzato lo scorso fine settimana in risposta al decreto esecutivo firmato il 27 gennaio dal presidente Donald Trump con cui egli chiude le frontiere per tre mesi a tutti i viaggiatori di sette Paesi e per 120 giorni a tutti i rifugiati del mondo.

Il decreto proibisce ai viaggiatori di Yemen, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Iraq di entrare in territorio americano per tre mesi.

Fino a due giorni fa sembrava che il decreto toccasse anche i possessori della “green card” (il visto di "residente permanente”), ma poi ieri è stato dato via libera a questi.

Trump si è subito difeso dalle critiche di coloro che lo accusano di aver messo al bando dei “Paesi musulmani”. Egli dice che i Paesi colpiti sono “pericolosi” e fa notare che altri 49 Paesi musulmani non sono toccati dal decreto. Ma i critici sottolineano che fra i Paesi “pericolosi” non sono elencati Arabia saudita, Emirati, Pakistan, Afghanistan, Paesi di provenienza degli autori degli ultimi attentati del 2016.

Migliaia di manifestanti si sono radunati davanti alla Casa Bianca e in alcune aeroporti a New York, Los Angeles, Seattle, San Francisco (v. foto). Tutti criticano la chiusura delle frontiere voluta dal presidente come qualcosa non degna dell’America. Alcuni procuratori a New York, in California e in Pennsylvania hanno deciso di combattere contro questo “decreto incostituzionale” e diversi giudici hanno già ottenuto la liberazione di alcuni emigranti che erano stati fermati negli aeroporti e che rischiavano la detenzione o la deportazione.

Molte compagnie aeree mondiali hanno iniziato a non emettere biglietti per persone dei Paesi su cui pesa il bando, anche se essi hanno un visto valido per gli Usa.

Diverse personalità politiche dell’Europa hanno criticato la scelta dell’amministrazione Trump. Fra questi la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e l’Italia. La Casa Bianca riponde che il decreto serve proprio a evitare che negli Usa avvengano attacchi terroristi come quelli avvenuti a Parigi, Bruxelles e Berlino.

L’Iran – che ha molti suoi connazionali bloccati negli aeroporti Usa o non possono viaggiare, ha annunciato che applicherà misure di reciprocità verso gli Stati Uniti. Il presidente Hassan Rouhani ha dichiarato che “oggi non è più tempo di costruire muri tra le nazioni. I dirigenti Usa hanno dimenticato che alcuni anni fa anche il muro di Berlino è crollato. Occorre sopprimere i muri fra i popoli”. Il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha invece fatto notare che la scelta di Trump “è un grande regalo agli estremisti”.

Anche il portavoce del ministero indonesiano degli esteri, Arrmanatha Nasir, ha detto di essere “profondamente dispiaciuto” per la mossa americana. “Noi pensiamo – ha aggiunto – che essa influenzerà in modo negativo la lotta mondiale contro il terrorismo e il modo con cui accogliere i profughi”.

Il premier turco Binali Yildirim ha detto che “non risolveremo il problema dei rifugiati innalzando dei muri”.

La giovane pakistana Malala Yousafzai, premio Nobel per la Pace, ha detto di avere “il cuore spezzato nel vedere l’America volgere le spalle al suo fiero passato di accoglienza a rifugiati e migranti”.

La Lega araba, per bocca di Ahmed Aboul Gheit ha detto di provare “profonda preoccupazione” per le scelte di Trump. I nuovi regolamenti “sono una restrizione ingiustificata all’entrata di cittadini da diversi Paesi arabi, con le conseguenze della sospensione nell’accettazione dei profughi siriani”.

Egli spera che l’amministrazione Usa possa “rivedere la sua posizione date le negative conseguenze che esse possono portare nella cura per l’unità della famiglia umana e per la continuazione del dialogo fra società arabe e società americana”.