I confini del nuovo Medio oriente, tracciati con il sangue dei cristiani
di Fady Noun
Il dramma dei cristiani irakeni nell’incontro dei patriarchi orientali cattolici e ortodossi nel nord del Libano. I tentacoli della piovra jihadista si allungano anche sul Libano. La battaglia di Arsal simbolo della ribellione al gioco islamista. Preoccupano i dubbi sulla capacità dell’esercito di Beirut di respingere la minaccia e l’impasse politica sull’elezione del presidente della Repubblica.

Beirut (AsiaNews) - Cosa sta succedendo in Iraq? Le frontiere del nuovo Medio oriente stanno per essere tracciate con il sangue versato dai cristiani? Questa è la domanda che si pongono tutti i cittadini libanesi con gli occhi puntati sulla piana di Ninive, dove ieri centomila cristiani sono fuggiti - sotto un sole cocente e temperature superiori ai 40 gradi - in seguito all'avanzata degli jihadisti e dell'oscurantismo di natura religiosa che li accompagna.  

Riuniti ieri nella sede patriarcale estiva maronita di Dimane (nel nord del Libano), i patriarchi orientali cattolici e ortodossi hanno risposto a questa tragedia chiedendo alle autorità civili e religiose musulmane di promulgare fatwa e leggi di condanna del genocidio culturale in atto nelle regioni conquistate dai jihadisti. Essi hanno anche auspicato, pur senza chiederlo in modo diretto, un intervento delle Nazioni Unite in Iraq. Nel contesto di un appello lanciato da Baghdad, il Patriarca dei caldei - che ha inviato a Dimane un proprio rappresentante - ha condannato la mancanza di coordinamento fra il governo centrale irakeno e le autorità curde, a tutto vantaggio della piovra islamica che ne approfitta per allargare i propri tentacoli. "La situazione va di male in peggio" ha concluso Mar Sako nel suo grido di aiuto al mondo. 

Si tratta delle medesime tenebre che l'esercito libanese è da poco riuscito a respingere, riprendendo sempre ieri il controllo dell'agglomerato di Arsal, caduto per qualche giorno sotto le grinfie dei gruppi islamisti. Non sono ancora chiari i motivi che hanno spinto queste bande a tagliare il ramo sul quale si erano appoggiati, tanto più che la città scelta come base strategica per il riposo, il rifiorimento delle milizie e quale centro logistico è nella sua totalità sunnita. Il solo motivo di conforto - in una vicenda conclusa in modo tutto sommato pacifico, a fronte di uno scontro sanguinoso costato la vita a una ventina di militari libanesi - è che la città si è mostrata refrattaria al giogo jihadista e che il comportamento brutale di questi ultimi ha fatto perdere loro ancor più consenso. 

L'evacuazione di Arsal è dovuta forse alla mediazione dell'Associazione degli ulema musulmani (salafiti)? Questa domanda merita di essere approfondita. La battaglia non è certo terminata, ma è altrettanto evidente che il modo in cui è stata regolata non è di natura militare e che la riunione degli ulema ha giocato un ruolo non certo marginale. Ovvio, non è possibile alcun compromesso con il terrorismo, ma con 39 ostaggi nelle loro mani (22 militari e 17 agenti della Forza di sicurezza interna) gli jihadisti avevano a disposizione una carta che hanno senza dubbio giocato, per assicurarsi un'uscita sani e salvi da Arsal e che continueranno a giocare in futuro per fare pressioni sul governo. Essi chiederanno, in cambio della liberazione dei prigionieri, quella del capo dello Stato islamico Imad Ahmad Jomaa, arrestato dall'esercito di Beirut?  E gli ostaggi potranno anche servire come moneta di scambio per negoziare un disimpegno di Hezbollah in Siria? Nei prossimi giorni avremo tutte le risposte. 

In ogni caso, l'irruzione della minaccia jihadista in Libano ha spinto il Primo Ministro Tammam Salam a contattare al telefono il re Abdallah di Giordania, il premier turco Recep Tayyip Erdogan e l'emiro del Qatar, lo sceicco Tamim ben Hamad al-Thani. 

Secondo quanto riferisce l'agenzia stampa nazionale, il re di Giordania ha promesso aiuto all'esercito libanese e ha incaricato il proprio ministro degli Esteri di seguire da vicino la vicenda. Non è dato sapere quali siano i temi trattati con il Primo Ministro turco e l'emiro del Qatar, e se il Libano parla la stessa lingua con questi due Stati, in merito alla minaccia jihadista. 

Di contro, quello che è emerso nella battaglia di Arsal - un elemento denunciato da tempo dagli alti funzionari statali - è l'indebolimento dell'istituzione militare, in cui l'età media ha di gran lunga superato le norme previste. Una istituzione che, inoltre, manca di mezzi adeguati per far fronte alla propria missione interna, la lotta contro il terrorismo. La decisione del Consiglio dei ministri di arruolare 5mila nuovi soldati si rivela un timido tentativo di risposta al problema. Essa ha di certo un costo, che potrebbe essere coperto dalla donazione proveniente dall'Arabia Saudita come promesso dal re Abdullah. 

Abbiamo sviscerato negli ultimi giorni la ragione per cui l'Arabia Saudita tardi a donare tre miliardi di dollari in armamenti di fabbricazione francese. Può darsi che vi sia un problema legato all'importo della commissione da assegnare alla merce. Forse. Per gli esperti l'acquisto di armi è da sempre accompagnato da appropriazioni indebite. Ma i libanesi sono del tutto esenti da responsabilità in questo ritardo? A quale governo, a quale Libano e in base al mandato di quale presidente verrà concesso il dono saudita? Dimentichiamo forse che il Libano è da oltre tre mesi senza presidente della Repubblica? L'impasse costituzionale nella quale versa il Libano e l'incertezza sul suo avvenire sono tutti ostacoli alla concessione di un dono che, per essere generosi, non può essere accordato senza una effettiva presa di coscienza. 

Ecco dunque che il cerchio è completo, gli avvenimenti di Arsal e la decisione del Consiglio dei ministri fanno riferimento alla stringente questione dell'elezione presidenziale. Certo, la Camera si è data un nuovo appuntamento per il 12 di agosto, col proposito di eleggere il capo dello Stato. Ma non bisogna farsi troppe illusioni su questo punto, perché la questione è destinata a rimanere irrisolta ancora a lungo... Mentre il Libano - con tutto il Medio oriente - brucia, si assiste al dramma di studenti presi in ostaggio da insegnanti che hanno perduto ogni misura dell'etica e di esperti che perdono il loro tempo in chiacchiere da salotti televisivi.