La 'Lumen fidei', un balsamo per la crisi dell'uomo
di Bernardo Cervellera
La prima enciclica di papa Francesco - con il contributo di Benedetto XVI - mette in luce che prima di una crisi di fede vi è una crisi dell'uomo e della verità. Il relativismo sbriciola la consistenza della persona, della convivenza, della giustizia, dell'amore, della ricerca scientifica. La fede di Abramo, compiuta nel dono di Gesù Cristo, illumina ogni ricerca e cammino umani ed è capace di un indispensabile contributo per "la città degli uomini".

Città del Vaticano (AsiaNews) - L'enciclica "Lumen fidei" è un vero balsamo per curare le ferite dell'uomo e del mondo di oggi. Con un linguaggio alto, ma non pesante, spesso con vertici poetici, il testo si snoda in quattro capitoli mostrando il potere che la fede in Dio e nel Dio di Gesù Cristo ha nel sostenere l'unità dell'uomo (cancellando la dissipatezza); la sua solidarietà con gli altri (cancellando la paura); l'edificazione della convivenza sociale (cancellando l'utilitarismo e l'omologazione) (v. n. 51). Perfino la scienza viene sostenuta dalla fede a lavorare con ottimismo di fronte al cosmo (n. 34). Non solo: la fede, mostrando Dio come origine della realtà, fa scoprire che l'uomo è custode della natura e non padrone, e fonda un'ecologia che vede l'essere umano al centro del creato, non come un rifiuto tossico da eliminare (n. 55).

Negli ultimi tempi Benedetto XVI - del quale si sente la profonda influenza nel testo - e papa Francesco hanno detto spesso che la crisi che attanaglia la nostra società contemporanea, prima ancora di essere economica, "è crisi dell'uomo".

Nella "Lumen fidei" si tratteggia in modo analitico questa "crisi dell'uomo", fatta di rifiuto del Dio unico, per affermare se stessi, che finisce per cadere nell'idolatria e nel politeismo (la dispersione "nella molteplicità dei desideri... che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto", n. 13).

In questo modo, tutte le esperienze dell'uomo rischiano di naufragare: la giustizia, affermata dall'io centrato su se stesso, senza un criterio superiore, tradisce le sue premesse, e "la sua vita si rende vana, le sue opere sterili" (n. 19)

La modernità che ha cercato di "costruire la fraternità universale fra gli uomini fondandosi sull'uguaglianza...non riesce a sussistere" (n. 54) . L'amore diventa "un'esperienza legata a sentimenti incostanti e non più alla verità" (n. 27)

La crisi dell'uomo sta tutta qui: nell'eliminare  la domanda sulla verità totale e nella riduzione del vero alla tecnologia, alla scienza, a quanto l'uomo è capace di costruire: "Questa sembra oggi l'unica verità certa, l'unica condivisibile con altri, l'unica su cui si può discutere e impegnarsi insieme. Dall'altra parte vi sarebbero poi le verità del singolo, che consisto­no nell'essere autentici davanti a quello che ognuno sente nel suo interno, valide solo per l'individuo e che non possono essere proposte agli altri con la pretesa di servire il bene comune" (n. 25).

Da qui sorge la "dittatura del relativismo", "in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più".

Leggendo l'enciclica si rimane sempre più persuasi che nel mondo contemporaneo ciò che è in crisi non è anzitutto la fede (la frequenza alla messa, la partecipazione ai sacramenti, la stima per la Chiesa e per la successione apostolica,...), ma l'uomo, annegato nelle sue pretese prometeiche e nei suoi fallimenti. Ed è questa voglia di fare a meno di Dio che porta a banalizzare la fede come "illusione", "consolazione", "fatto privato", "innamoramento soggettivo".

Nella "Lumen fidei" vi è un abbecedario di ciò che è la fede. Anzitutto la fede di Abramo (nn. 8-11), sul cui cammino si può trovare vicinanza con ebrei e musulmani: un dono-incontro col Dio-persona; l'offerta di una promessa che dà senso al presente e al futuro; la scoperta di una bontà e di un amore che avvolge sé e il cosmo. La fede in Gesù Cristo è la pienezza di questo percorso: nella luce e nell'amore di Gesù "fino alla fine" troviamo conferma che l'amore di Dio illumina perfino il buio della morte e offre la certezza di un futuro nella luce della resurrezione (nn. 15-18).

Tutte queste annotazioni non sono in stile cattedratico o dogmatico, ma emergono come da una lunga meditazione. Anche la "crisi dell'uomo" non è descritta con sapore di condanna o di teorema, ma con compassione e dolore.

"La luce dell'amore, propria della fede - si dice al n. 34 -..... nascendo dall'amore può ar­rivare al cuore, al centro personale di ogni uomo. Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti".

Certo, nell'enciclica si precisano e si raddrizzano alcune storture: la fede è fede della Chiesa (e non del singolo, senza la sua mediazione); che la fede è una (e non si può stornare a piacimento uno o l'altro articolo di fede); che la teologia va prodotta all'interno della fede della Chiesa; che la successione apostolica è necessaria come aiuto garantito al legame con il dono della verità e dell'amore di Gesù Cristo. Ma tutto è visto come conseguenza della "luce della fede.... capace di illuminare tutta l'esistenza dell'uomo" (n. 4).

Il tono più diffuso è lo stupore per il dono di verità e di amore che viene da Gesù Cristo, che rende impossibile non annunciarlo al mondo, attraverso la compagnia all'uomo: "Non c'è nessuna esperienza umana, nessun itinerario dell'uomo verso Dio, che non possa essere accolto, illuminato e purificato da questa luce. Quanto più il cristiano s'immerge nel cerchio aperto dalla luce di Cristo, tanto più è ca­pace di capire e di accompagnare la strada di ogni uomo verso Dio" (n. 35).

Tale missione, in cammino con credenti e non credenti, giunge fino alla costruzione "della città", della convivenza fra gli uomini. A causa della crisi (dell'uomo, del relativismo, del tecnicismo) essa è divenuta un vero "labirinto" senza speranza. "Il Dio affida­bile - conforta l'enciclica - dona agli uomini una città affidabile.... La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune. La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all'impegno concre­to dei nostri contemporanei. Senza un amore af­fidabile nulla potrebbe tenere veramente uniti gli uomini" (n. 51).

 

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