Conclave: si sceglie guardando alle sfide, prima che agli uomini
di Franco Pisano
La questione fondamentale che i 115 cardinali chiamati a riunirsi in conclave affronteranno tra qualche giorno è: quali sono i temi che la Chiesa del successore di Benedetto XVI dovrà affrontare, e come. Dalla risposta a questo interrogativo seguirà la seconda domanda: chi è il più adatto?

Roma (AsiaNews) - Progressista o conservatore, italiano o straniero, magari nero, portato dalla "cordata" di Bertone o da quella degli americani. In gergo si chiama "totopapa" e mira a capire chi sarà il successore di Benedetto XVI. In questa caccia al nome - che coinvolge perfino i bookmaker inglesi - c'è, in genere, un rovesciamento della prospettiva: si indica una persona e poi si ipotizza come affronterà le questioni. Non è così. La questione fondamentale che i 115 cardinali chiamati a riunirsi in conclave affronteranno tra qualche giorno è: quali sono i temi che la Chiesa del successore di Benedetto XVI dovrà affrontare, e come. Dalla risposta a questo interrogativo seguirà la seconda domanda: chi è il più adatto?

Quando, il 19 aprile 2005, la scelta cadde sul cardinale Ratzinger, i conclavisti pensarono di puntare lo sguardo sul Vecchio continente, in quanto causa, vittima e centro della scristianizzazione, primo e fondamentale problema. Significativamente, nel corso della messa "Pro eligendo romano pontifice", celebrata il 18 aprile, l'allora decano del collegio cardinalizio, che era lo stesso card. Ratzinger, affermò la necessità di riscoprire una "fede matura, radicata nell'amicizia con Cristo", senza lasciarsi trasportare dalla "dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie". Temi che hanno rappresentato il cuore del magistero di Benedetto XVI e che, evidentemente, erano, almeno allora, condivisi dalla maggioranza degli elettori.

E ora? Dall'Europa, sempre scristianizzata, tuttavia qualche segnale positivo è arrivato. Più dalla gente che dalle istituzioni, come dimostrato dalla massiccia e inattesa partecipazione dei francesi alla marcia del 13 gennaio in difesa del matrimonio tra un uomo e una donna. Altri "segni di speranza" si intravedono qua e là. Se la nuova evangelizzazione resta il problema dei problemi, il Vecchio continente è ancora centrale?

Oggi, infatti, la maggioranza dei cattolici non è più in Europa. Il cattolico del nostro tempo è nero o meticcio.

Non solo, il maggior numero di fedeli della Chiesa di Roma, oggi, è in America. Ma se i problemi di Stati Uniti e Canada, per molti versi possono essere assimilati a quelli europei, seppure con certo maggiore radicalismo, le Chiese dell'America latina da un lato subiscono i contraccolpi del materialismo, dall'altro cedono ogni anno decine di migliaia di persone a Chiese, e più spesso sette, di origine protestante. Ma sono, in genere, Chiese vivaci e attente ai problemi "veri" della gente. Come ignorarle?

Ancora: "Il terzo millennio sarà dell'Asia" disse a New Delhi Giovanni Paolo II nel 1999, presentando le conclusioni del Sinodo per l'Asia. E nel 2004 nel suo "Alzatevi, andiamo" ripeteva "l'Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio". Sono Chiese in crescita nel numero dei fedeli e ricche di vocazioni - registrano il maggior aumento mondiale del numero dei sacerdoti - malgrado siano spesso osteggiate, quando non perseguitate, in modo più o meno palese. Chiese, infine, che, con le eccezioni di Filippine e Timor est, vivono in condizioni di minoranza. Missione e libertà religiosa sono le loro bandiere. Che ne penserà il Conclave?

L'Africa, infine. È il continente dove si registra il maggior aumento percentuale dei cattolici e le sue vocazioni sono seconde solo a quelle asiatiche. Sono Chiese "giovani". Quanto è un vantaggio e quanto un limite.

Queste sono, per grandi linee, le realtà delle Chiese nei diversi continenti. Considerare prioritaria l'una rispetto all'altra non comporta necessariamente scegliere un uomo di quel continente. Come ha detto il cardinale Walter Kasper serve "un vero pastore per la gente, ma anche un pastore che sappia guidare la Chiesa. Credo che oggi ci voglia l'esperienza della Chiesa universale. Non basta solo conoscere una diocesi o un Paese". Non può essere trascurata, in proposito, una caratteristica di questo nostro tempo: la globalizzazione. Come ha più volte evidenziato Benedetto XVI, essa è un fatto a un tempo positivo, in quanto capace di diffondere principi come il rispetto dei diritti umani, e negativo perché porta ovunque il vangelo del consumismo: l'importante è avere "cose".

Ci sono, infine, questioni interne alla vita della Chiesa - per tutte la liturgia - e i grandi temi morali, per tutti i divorziati risposati. E c'è la richiesta - si dice pressante - di una vera riforma della Curia. Viene, si dice dai "non italiani". Vatileaks, corvi, questioni legate alla gestione dello Ior sono infatti viste come beghe "italiane", figlie del peso eccessivo della Curia romana e di una burocratizzazione che le ha fatto perdere di vista il suo vero fine, che è collaborare - e non frenare, quando non cercare di sovrapporsi - alla missione del capo della Chiesa. Riforme sono state tentate da Paolo VI - che pure ne conosceva ogni ambito - in poi. Con risultati giudicati quanto meno scarsi.

A tutto questo, la rinuncia di Benedetto XVI, con la motivazione della diminuzione delle forze, introduce un elemento legato all'età. Il 265mo successore di san Pietro non dovrà essere troppo anziano, onde garantire le energie necessarie per governare la Chiesa dei prossimi, difficili, anni.

In complesso è uno scenario che, per ora, non ha una risposta. Trovarla è il compito del conclave. Sul quale - ma solo a questo punto - peserà la personalità di coloro che appaiono più adatti a rispondere alle esigenze che saranno ritenute prioritarie. Peserà quindi il profilo personale, il carisma, il passato e, perché negarlo, le amicizie. Senza dimenticare che, per chi crede, "lo Spirito soffia dove vuole".