Arcivescovo di Taipei: Per Taiwan, una nuova evangelizzazione
Mons. John Hung Shan-chuan, racconta ad AsiaNews le sfide che affronta la sua Chiesa nell’Anno della Fede proclamato dal Papa: “Questo è un Paese ricco, dove molti credono di poter comprare qualunque cosa. Non capiscono che il loro vuoto interiore può essere colmato solo da Cristo. Siamo grati al pontefice per l’enorme motivazione e per il sostegno continuo”. Il rapporto con le altre Chiese, la crisi delle vocazioni e un ricordo personale del defunto cardinal Shan.

Taipei (AsiaNews) - Il materialismo e il nichilismo "colpiscono l'Asia come il resto del mondo. E Taiwan è un Paese ricco, dove molti pensano di poter comprare tutto. Per questo l'Anno della Fede proclamato da Benedetto XVI è una sfida ma anche una fortissima motivazione per tutti noi: vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli". A parlare è mons. John Hung Shan-chuan, arcivescovo di Taipei e presidente della Conferenza episcopale regionale cinese, che racconta ad AsiaNews il cammino che la sua comunità sta percorrendo in quest'anno così particolare per la Chiesa universale.

Taiwan conta poco meno di 23 milioni di abitanti; di questi, circa 300mila sono cattolici cui vanno aggiunti gli immigrati filippini, circa 100mila, "molto presenti nella vita della comunità. La nostra è una Chiesa che può sembrare piccola ma non lo è. Sulle orme del defunto e compianto cardinal Shan, stiamo incoraggiando i nostri fedeli a essere più attivi e più partecipi della vita della nazione e dei propri ambienti. I valori cattolici, come ha spiegato tante volte il Papa, sono una risorsa per tutti, non solo per i fedeli".

Tuttavia, Taiwan ha alcuni punti deboli: "Ringraziando Dio possiamo dire di vivere in una nazione prospera. Ma questo può essere uno svantaggio dal punto di vista spirituale, quanto meno per chi pensa che i beni materiali siano la risposta a tutto: comprano, comprano e non capiscono che il vuoto che sentono dentro è il loro desiderio di immortalità. Un desiderio che solo Cristo può colmare".

Alla luce di questa situazione "serve un clero e una comunità pronti ad accogliere. All'inizio della settimana [il 12 novembre ndr] ho incontrato i miei sacerdoti: ho detto loro che non possono limitarsi a rimanere chiusi nelle chiese o nelle parrocchie, ma devono uscire fra la gente e spronarla a interrogarsi sui propri bisogni e sulla propria coscienza. Stimolati dall'Anno della Fede e dall'esempio del Papa, hanno risposto con entusiasmo: ma non basta, quindi lancio diverse sfide a tutta la comunità. Il prossimo anno, per esempio, una famosa parrocchia di Taipei compie 60 anni: ho chiesto al parroco 60 nuovi battesimi di adulti per celebrare l'evento".

Allo stesso modo, il presule ritiene importante un approccio diretto per coltivare le vocazioni: "Io dico sempre che qui nessuno, tranne rarissimi casi, entra in chiesa, chiede del sacerdote e gli dice che vuole entrare in seminario. Quando incontro un giovane promettente dal punto di vista spirituale e capisco che sta ragionando su questa possibilità, gli telefono e gli chiedo io un incontro. In questo modo si sentirà accompagnato sin dall'inizio".

Le sfide di cui parla mons. Hung non sono facilitate dall'altissima presenza di templi di tutte le religioni tradizionali cinesi e asiatiche: "Io ho un buon rapporto con loro, perché quanto meno preparano l'animo umano alla presenza del divino. Ma sempre più spesso incontro nuovi fedeli che mi spiegano di aver scelto il cattolicesimo perché volevano sentirsi coinvolti nel rapporto con Dio, e non semplici postulanti che chiedono un favore. Ripeto però sempre a tutti che la nostra fede richiede studio e costanza: non si devono cercare battesimi facili, ma vuoti".

La strada intrapresa dall'arcivescovo è stata aperta dal cardinale Shan, morto lo scorso 22 agosto: "Un pastore eccezionale e un uomo di grande ispirazione morale. Ha aperto la porta al rapporto con le classi dirigenti del Paese e ci ha mostrato la strada per vivere da bravi fedeli e da bravi sacerdoti. A me ha mostrato anche come morire: sono andato a trovarlo poco prima che ci lasciasse per tornare alla casa del Padre. Era svestito sotto le coperte dell'ospedale per motivi tecnici e mi ha detto: Ho passato tutta la vita vestito, anche di vesti importanti. Ora Cristo mi concede la sua più grande grazia, quella di farmi morire nudo come un bambino. Io Gli sono grato, perché se non siamo come bambini non possiamo entrare nel Regno dei cieli". (VFP)