Card. Filoni: La Lettera del Papa alla Chiesa di Cina attende risposta
di Card. Fernando Filoni
Il Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli diffonde una sua riflessione a cinque anni dalla pubblicazione della Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi. Nel bilancio del porporato, vi sono le difficoltà dell'unità fra cristiani ufficiali e sotterranei, le violazioni alla libertà religiosa, l'inaridirsi di alcuni segnali positivi di dialogo fra Santa Sede e Cina. Un nuovo invito al dialogo.

Città del Vaticano (AsiaNews) - Un impegno a far maturare la comunione fra i due rami della Chiesa in Cina (ufficiale e sotterranea) e una proposta al governo cinese di aprire "un adeguato e sincero dialogo" con la Santa Sede: sono alcuni dei punti salienti nella riflessione che presentiamo sotto, a firma del card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli. Il card. Filoni, che conosce molto bene la Cina per gli anni passati ad Hong Kong nella Missione di studio della Santa Sede, fa un bilancio dei cinque anni passati dalla pubblicazione della Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi (2007), che pur avendo aperture e proposte per Pechino, non ha mai ricevuto una risposta dalle autorità della Repubblica popolare.

Il porporato rileva le fatiche che ufficiali e sotterranei fanno per ricucire l'unità, ma è preoccupato soprattutto della libertà religiosa e dell'integrità della fede della Chiesa, messa in pericolo dagli ultimi avvenimenti delle ordinazioni episcopali illecite, dalla mancanza di libertà dei vescovi, dal controllo soffocante sulla vita della Chiesa, che costituiscono  "pietre d'inciampo...nel cammino tra Santa Sede e Autorità cinesi" e affliggono i cattolici in Cina, che pure vogliono contribuire allo sviluppo della loro Patria. Il card. Filoni cita anche "segnali che in questi cinque anni hanno generato positive attese", come il concerto dell'Orchestra Filarmonica di Pechino e il coro di Shanghai in Vaticano, ma tali segnali "si sono affievoliti".

L'invito del Prefetto di Propaganda Fide è che Cina e Vaticano aprano dei dialoghi ad alto livello per contribuire a "frutti di armonia e di pace, che vanno al di là del bene della Santa Sede e della Cina".

Ecco il testo del Card. Filoni (per gentile concessione della rivista Tripod):

 Il 2007 rappresenta un anno chiave per la Santa Sede nei confronti della Cina: dieci anni prima Hong Kong era ritornata sotto la sovranità di Pechino e trent'anni in antecedenza (1977), Deng Xiaoping aveva aperto la Cina. Per alcuni anni (1992-2001) io ero vissuto a Hong Kong occupandomi della vita della Chiesa di quel Paese che usciva da lunghe e drammatiche persecuzioni. Per motivi di ufficio, alcune volte mi ero recato a Pechino, riportando favorevoli impressioni circa lo sviluppo economico della Nazione. Anche per il futuro della Chiesa si nutrivano speranze: la sua storia di sofferenza e di fedeltà, con i suoi confessori e martiri, emanava un fascino straordinario. Sembrava che non potesse soffrire più di quanto avesse già sofferto specialmente durante la Rivoluzione Culturale (1966-1976). Tuttavia i problemi sia interni alla Chiesa, sia nelle relazioni con lo Stato erano enormi. Anche tra Cina e Santa Sede c'erano grandi difficoltà: storiche, culturali, politiche, di reciproca comprensione e di valutazione delle questioni.

Giovanni Paolo II era morto nel 2005 con il desiderio di visitare la Cina e lasciando una ricca eredità di amore appassionato per la Chiesa in Cina, di attenzione paterna per chi si era allontanato dalla piena comunione con il Successore di Pietro, di vivo apprezzamento e di sentimenti di amicizia verso il Popolo cinese. Io ne fui diretto testimone in non poche occasioni. Nel 2007 Benedetto XVI, esaminando a fondo lo status quo, ritenne che i tempi per le relazioni tra Cina e Santa Sede fossero obiettivamente non vicini, perciò bisognava lavorare per spianare la strada. Primo compito sarebbe stato quello di manifestare pubblicamente qual era l'atteggiamento della Santa Sede nei confronti della complessa situazione della Chiesa in Cina, poi quale doveva essere l'atteggiamento che si auspicava internamente alla Chiesa cinese e nelle relazioni con lo Stato, ed infine quale atteggiamento la Santa Sede nutriva nei confronti dello Stato cinese.

In questo contesto nacque e fu preparata la Lettera ai Vescovi, ai Presbiteri, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, pubblicata il 27 maggio 2007.

La Santa Sede e la complessa situazione della Chiesa in Cina

Dopo anni di studio la Santa Sede aveva la chiara percezione che la Chiesa in Cina nel suo insieme non era mai stata scismatica. Quando ero a Hong Kong usavo un'analogia per descrivere quanto fosse accaduto. Fin dal suo inizio storico l'evangelizzazione in Cina era avvenuta in fedeltà al Vangelo. Cristo ne era l'unica sorgente e la Chiesa che ne era nata, scorreva come un fiume di acqua limpida, pur tra corsi e ricorsi per le accidentalità del terreno, cioè della storia. Un terremoto politico a cominciare dal 1950 ne sconvolse la vita. Per questo, una parte delle acque cominciò a fluire sotto terra, e un'altra parte continuò a scorrere in superficie. Avvenne quindi che una parte della Chiesa non accettasse i compromessi e il controllo politico, un'altra li accettò per calcolo esistenziale. Ci si domandava: sarebbero mai quelle acque tornate insieme, liberamente e apertamente? Certo nel Cuore di Cristo, mare infinito di misericordia, là ci sarebbe stata una comune conclusione. Ma nel corso della storia sarebbe stato possibile che la Chiesa in Cina apparisse di nuovo visibilmente unita?

Lo scopo della Lettera del Papa Benedetto XVI, come si dice già nel paragrafo n. 2, è quello di offrire orientamenti in merito alla vita della Chiesa e all'opera di evangelizzazione in Cina. Non ha, dunque, un primario scopo politico. Secondo il Papa, infatti, la Chiesa in Cina avrebbe dovuto ritrovare in sé la volontà e le energie per procedere verso la riconciliazione. Bisognava, dunque, eliminare pregiudizi e interferenze, divisioni e connivenze, odio e ambiguità. Per questo era necessario avviare un processo di verità, di fiducia, di purificazione e di perdono.

I soggetti interessati erano: la cosiddetta Chiesa 'clandestina', ossia non-ufficialmente riconosciuta dalle autorità civili e la cosiddetta Chiesa 'patriottica', ossia ufficialmente riconosciuta dalle autorità civili. Ma c'erano anche la Sede Apostolica e le autorità governative di Pechino.

Questi soggetti, difatti, interagivano creando una molteplicità di relazioni aperte e nascoste, prudenti e imprudenti, violente e caute.

Pertanto, la riconciliazione sarebbe mai stata possibile senza, al tempo stesso, un dialogo anche tra Santa Sede e Pechino?

II dialogo tra le due 'correnti'

Ad una prima analisi bisogna riconoscere che quanto auspicato nella Lettera del Papa ha conosciuto difficoltà. Ciò fu causato dalle pressioni esterne sulla Chiesa stessa, ma anche dalle incomprensioni tra le due 'correnti'. Decenni di separazione hanno scavato solchi ed elevato muri, cosicché le profonde ferite interne alla Chiesa sono ancora presenti.

Si sa, però, che il dialogo ha come presupposto la ricerca della verità e come fine il perdono e la riconciliazione. Se il Papa scrive che la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso una permanente conflittualità, ciò va preso in considerazione dalle due 'correnti' della Chiesa in Cina. Pertanto il punto di stallo può essere superato per ambedue le 'correnti' nella fedeltà e nell'obbedienza al Successore di Pietro, principio e fondamento perpetuo e visibile della fede e della comunione (cf. Conc. Vat. II, Lumen gentium, 18).

Il dialogo tra Santa Sede e autorità cinesi

La Lettera di Benedetto XVI alla Chiesa in Cina si apre con la dichiarazione, pubblica e chiara, che la Santa Sede è disponibile ad un dialogo rispettoso e costruttivo con le autorità di Pechino, sottolineando che la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto (n. 4). Questa aperta manifestazione di buona volontà e di disponibilità, non è mai venuta meno. Certo il procedere della Sede Apostolica e di un Paese grande e in evoluzione come la Cina può essere diverso, ma ci si domanda: si deve attendere all'infinito?

Da parte sua, a quali condizioni la Santa Sede accede al dialogo (non solo con la Cina, ma con tutti i Paesi del mondo)? Supposti alcuni aspetti preliminari quali la fiducia reciproca, la pari dignità, la volontà chiara di accedere e di proseguire anche nelle difficoltà, la Santa Sede pone i propri parametri di riferimento nelle caratteristiche volute per la Chiesa dal suo Fondatore: l'unità, compresa quella dei Vescovi tra loro e con il Papa; la santità, comprese la dignità e l'idoneità dei suoi pastori; la cattolicità, ossia l'universalità; la totalità e l'integrità della fede; e l'apostolicità, in relazione alla sua origine e struttura. La Santa Sede è pure consapevole che tali caratteristiche vengono incarnate e vissute nel contesto concreto di ogni popolo, trasformando intimamente gli autentici valori culturali mediante la loro integrazione nel cristianesimo. Perciò la Chiesa in Cina, così come negli altri paesi, avrà espressioni particolari, che permettono ai suoi fedeli di essere e di sentirsi pienamente cattolici e pienamente cinesi.

È con riferimento a tali caratteristiche che si sono manifestati gli alti e bassi in questi cinque anni dalla pubblicazione della Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi. Per brevità, potrei individuare tre recenti pietre d'inciampo sorte nel cammino tra Santa Sede e Autorità cinesi:

Forse, alcune reazioni della Santa Sede non sono state ben recepite, poiché non si è capito, o non si è tenuto presente, che esse erano dettate dalla preoccupazione di rimanere fedeli a determinati valori, che appartengono alla dottrina e alla tradizione della Chiesa e, quindi, ne garantiscono l'identità stessa. Invece, alla radice di tutti questi interventi c'è sempre stato un sincero e profondo rispetto per i Cattolici cinesi.

La Chiesa cinese e lo Stato

Nel contesto della missione che ha ricevuto da Cristo, la Chiesa in Cina rivendica la libertà di compiere la propria missione, senza interferenze civili e nel rispetto sia delle leggi dello Stato, sia dei principi di verità, di giustizia e di collaborazione. Una volta un vecchio sacerdote cinese mi diceva: "A noi cattolici in Cina è concessa solo la libertà dell'uccellino in gabbia!". La Chiesa in Cina, in verità, non chiede privilegi, né intende mettersi al posto dello Stato, come pure non intende identificarsi in nessun modo con la comunità politica, essendo esse, Chiesa e comunità politica, reciprocamente autonome; volentieri, invece, la Chiesa offre il proprio contributo per il bene comune.

In concreto, la situazione permane grave. Alcuni vescovi e sacerdoti sono segregati o privati della propria libertà, come recentemente è avvenuto nel caso del Vescovo Ma Daqin di Shanghai per avere dichiarato la propria volontà di dedicarsi al ministero pastorale a tempo pieno, deponendo incarichi che, fra l'altro, non sono neanche di competenza di un Pastore. Il controllo sulle persone e sulle istituzioni si è acuito e si ricorre sempre più facilmente a sessioni di indottrinamento e a pressioni.

In mancanza di libertà religiosa o in presenza di forti limiti, non tocca a tutta la Chiesa difendere i legittimi diritti dei fedeli cinesi e primariamente alla Santa Sede di dare voce a chi non ne ha?

A cinque anni dal documento pontificio è possibile ancora nutrire speranze?

I tentativi di dialogo, intercorsi fra Roma e Pechino, hanno mostrato grossi limiti. Un dialogo sincero e rispettoso, aperto e leale, come si è augurato il Papa nella Lettera, è auspicabile e richiede contatti diretti e stabili fra le due parti. I risultati che si erano auspicati in oltre vent'anni di contatti, di fatto sono mancati, mentre non sono mancate notizie incomplete o errate, incomprensioni, accuse e irrigidimenti.

Ci si domanda: non è forse arrivato il tempo di pensare ad un nuovo modo di dialogare, anche più aperto e ad un livello più equivalente, dove non sia più possibile che interessi particolari minino le volontà, la fiducia e la stima reciproca? La Santa Sede ha un dialogo aperto e franco con molti Paesi. Ad esempio, Santa Sede e Vietnam hanno trovato un modus operandi et progrediendi. Anche Pechino e Taipei hanno Commissioni stabili ad altissimo livello per trattare questioni di reciproco interesse. Non è possibile sperare in un adeguato e sincero dialogo con la Cina?

La Cina è un grande Paese e i cinesi sono ovunque. Da quando nel 1978 essa ha cominciato ad aprirsi alla realtà mondiale, quanti sacerdoti, chierici, religiosi, religiose e laici si sono formati nei seminari e negli istituti cattolici di tutto il mondo! Forse sono stati mai sollecitati a rinunciare alla loro identità nazionale? Forse sono stati mai forzati a seguire una fede contro coscienza? Se i migranti cinesi chiedono il battesimo (e non sono pochi), non godono degli stessi diritti degli altri battezzati? E in un mondo che si apre e si interconnette sempre più, si può pensare ad un isolamento dei cattolici cinesi solo perché vivono nel loro Paese? Quante volte ho parlato con amici cinesi, che mi dicono della loro fierezza di appartenere al proprio Paese, ma che si sentono umiliati in quanto cattolici a casa propria, mentre sono assai stimati ed apprezzati altrove! Possono le Autorità cinesi essere insensibili al grido di tanti propri concittadini? Anche segnali che in questi cinque anni hanno generato positive attese, si sono affievoliti; penso, ad esempio, al maestoso concerto offerto al Papa dall'Orchestra Filarmonica Cinese e dal Coro dell'Opera di Shanghai (2008), iniziativa che, ad ogni modo, rimane storica e del tutto positiva.

Una migliore comprensione della Lettera ai cattolici cinesi

La Lettera del Papa al clero e ai fedeli cinesi resta valida. Gli avvenimenti di questi cinque anni nella Chiesa in Cina ne hanno ribadito il valore, l'opportunità e l'attualità. Dopo incertezze, dubbi, paure e restrizioni che ne hanno rallentato la conoscenza e la comprensione, ora si apre un tempo in cui il documento pontificio può essere meglio compreso, può rappresentare un punto di partenza per il dialogo nella Chiesa in Cina e può stimolare quello tra Santa Sede e Governo di Pechino. Il Papa Benedetto XVI attende che si realizzi presto l'augurio del suo venerato Predecessore, Giovanni Paolo II, il quale già un decennio fa aveva dichiarato: "Non è un mistero per nessuno che la Santa Sede, a nome dell'intera Chiesa cattolica e - credo- a vantaggio di tutta l'umanità, auspica l'apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del Popolo cinese e per la pace nel mondo" (Lettera n. 4). Dunque, un dialogo che manifesti il dovuto apprezzamento per i cattolici cinesi, figli fedeli del loro Popolo, e produca frutti di armonia e di pace, che vanno al di là del bene della Santa Sede e della Cina. La Lettera, comunque, rimane un documento prevalentemente a carattere religioso e serve a spianare la via alla riconciliazione nella verità e senza ambiguità nella Chiesa in Cina.

Il documento pontificio, dunque, mi pare ancora un ammirevole punto di riferimento che mette bene in evidenza la passione del Papa per la verità, la giustizia politica e l'amore per il suo popolo. Ma è anche un testo in cui si coniugano la dottrina cattolica, la visione politica e il bene comune.

Esso attende una risposta.

22 ottobre 2012

Cardinale Fernando Filoni

Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli