Ngaba, si dà fuoco e muore il 44mo monaco tibetano. Aveva 18 anni
Lobsang Lozin apparteneva al monastero di Kirti, dal quale a marzo scorso due monaci si erano autoimmolati. Tensioni tra la polizia cinese e la popolazione locale. Altri religiosi sono riusciti a prendere il corpo e a celebrare i riti funebri.

Lhasa (AsiaNews) - Un monaco tibetano di 18 anni è morto dopo essersi dato fuoco per chiedere la liberazione del Tibet e il ritorno del Dalai Lama. Il fatto è avvenuto ieri a Barkham, nella contea di Ngaba (provincia del Sichuan). Con lui salgono a 44 i tibetani che dal 2009 hanno scelto l'autoimmolazione come forma di protesta contro il regime cinese. Il giovane monaco si chiamava Lobsang Lozin e proveniva dal monastero di Kirti. Subito dopo il suo gesto, la polizia cinese ha tentato di fare irruzione nel monastero, ma alcuni tibetani della zona hanno opposto resistenza e sono riusciti a fermare gli agenti. Al momento, si teme che la tensione tra forze dell'ordine e popolazione possa degenerare.

Fonti del Tibetan Human Rights Defender (Thrd) affermano che altri monaci di Kirti sono riusciti a portare il corpo senza vita del giovane nel monastero, e a tributargli tutti gli onori funebri. Il giovane dovrebbe essere cremato in serata.

Lobsang Lozin era originario del villaggio di Gyalrong e i suoi compagni lo ricordano come uno studente modello. Egli è il terzo monaco del monastero di Kirti a darsi fuoco. Il 30 marzo scorso, Chime Palden, 21 anni, e Tenpa Dhargyal, 22, hanno compiuto una doppia immolazione per chiedere la fine dell'occupazione cinese. Il primo è morto un giorno dopo, il secondo una settimana più tardi (v. 30/03/2012, "Ngaba, due monaci tibetani si danno fuoco. La polizia blocca i soccorsi").

I 44 tibetani che dal 2009 hanno scelto di darsi fuoco, volevano manifestare contro il controllo imposto da Pechino, che sorveglia anche la pratica del culto, l'apertura e la chiusura dei monasteri, e per chiedere il ritorno del Dalai Lama. Di contro, l'Oceano di Saggezza ha sempre sottolineato di "non incoraggiare" queste forme estreme di protesta, ma ha elogiato il coraggio di quanti compiono l'estremo gesto, frutto del "genocidio culturale" che è in atto in Tibet ad opera della Cina.