Mons. Henry D’Souza: Madre Teresa, una vita ordinaria e un amore straordinario
di Nirmala Carvalho
Il prossimo 23 ottobre si celebra la Giornata missionaria mondiale. Attraverso le parole della beata, l’arcivescovo emerito di Calcutta ricorda alcuni episodi della missione di Madre Teresa: l’inizio delle Missionarie della carità; la chiamata nella chiamata; il lavoro con i poveri e i lebbrosi; la povertà materiale e la povertà di chi non è amato.
Mumbai (AsiaNews) – “Vivendo con i poveri, ha capito che la povertà materiale non era l’unica fonte di infelicità e tenebre nelle vite delle persone. La solitudine e la mancanza di amore potevano lasciare la casa gelida e oscura”. In occasione della Giornata missionaria mondiale (23 ottobre), l’arcivescovo emerito di Calcutta Henry D’Souza racconta gli inizi della missione di Madre Teresa, attraverso i ricordi diretti della religiosa, beatificata nel 1997 da Giovanni Paolo II. Mons. D’Souza, per oltre 35 anni al fianco della beata e dal 1997 postulatore della sua causa di canonizzazione, cita alcuni passaggi della fitta corrispondenza tra la beata e mons. Ferdinand Perier, allora arcivescovo di Calcutta, dove si parla della “chiamata nella chiamata”, la visione di Gesù che ispirò la creazione delle Missionarie della Carità. Nell’intervista, anche tre episodi della vita di Madre Teresa: “Una storia dall’Australia”; “Morire come un angelo”; “L’abbandono è una terribile povertà”.

Secondo Giovanni Paolo II, “Madre Teresa di Calcutta è un buon esempio di moderno entusiasmo missionario”. Ci spieghi.

Madre Teresa ha sentito una chiamata nella chiamata. Era una felice suora di Loreto ed è stata missionaria a Calcutta. Quando camminava per le strade di Calcutta, nei suoi giri quotidiani verso la scuola della parrocchia, vedeva la miseria delle persone. La divisione di India e Pakistan per l’indipendenza, ha lasciato profonde cicatrici nel subcontinente indiano. L’India inglese è diventata una nazione divisa. Calcutta è diventata un rifugio per milioni che vivevano nel Pakistan orientale, oggi Bangladesh. A tali rifugiati e alla loro miseria, Madre Teresa ha risposto con generosità.

Nella sua autobiografia ha scritto: “In certi momenti ho paura, perché non ho nulla, né intelligenza, né istruzione, nessuna delle qualità richieste per una tale opera, eppure Gli dico che il mio cuore è libero da tutto e perciò appartiene completamente a Lui, e a Lui soltanto. Può servirsi di me proprio come meglio crederà. Compiacere Lui soltanto è la gioia che cerco.

L’India sta attraversando giorni di odio. Ho saputo proprio adesso che ha Calcutta ci sono stati ancora disordini. Se almeno le Missionarie della Carità fossero lì per contrastare tutto questo odio con il loro amore! Mi dirà: cosa potreste fare lei e qualche ragazza indiana? Noi non potremmo fare nulla, ma Gesù e noi, poche vittime, possiamo fare meraviglie. Mi lasci andare a iniziare l’opera, che sarà una risposta alla Sua ardente richiesta di apostoli”.

Più avanti, era il 1947, Madre Teresa scrive all’arcivescovo Perier le parole di Gesù per lei: “Piccola Mia, vieni, vieni, portami nelle tane dei poveri. Vieni, sii la mia luce”. Poi, nella stessa lettera, racconta della sua visione. Della terza scrive: “La stessa grande folla, erano avvolti dal buio. Eppure riuscivo a vederli. Nostro Signore sulla Croce. La Vergine un po’ distante dalla croce e io come una piccola bambina davanti a lei. La Sua mano sinistra era sulla mia spalla sinistra, e la Sua mano destra teneva il mio braccio destro. Entrambe eravamo davanti alla Croce. Nostro Signore disse: ‘Io te l’ho chiesto. Loro te lo hanno chiesto e Lei, mia Madre, te lo ha chiesto. Rifiuterai di fare questo per me, di prenderti cura, di condurli a me?’. Ho risposto: ‘Tu sai, Gesù, che sono pronta a partire immediatamente’.”.

Così Madre Teresa è diventata una Missionaria della Carità. L’arcivescovo Perier le ha dato il permesso di andare. La sua decisione non era basata sulla “presunta visione”, ma sulla sua personale convinzione che quella era la volontà di Dio. L’arcivescovo scrive: “Sono profondamente convinto che negando il mio consenso, ostacolerei la realizzazione, attraverso di lei, del volere di Dio. Ritengo che non avrei potuto fare di più per avere luce”.

Ricevuto il permesso dell’arcivescovo, Madre Teresa ha iniziato con grande entusiasmo a portare la luce nei tuguri bui dei poveri. Gesù l’ha chiamata per essere la luce. Lei ha fatto del suo meglio per portare quella luce ovunque andasse. La sua comprensione del povero è cambiata quando si è trovata tra loro. Ha realizzato che la povertà materiale non era l’unica fonte di infelicità e tenebre nelle vite delle persone. La solitudine e la mancanza di amore poteva lasciare la casa gelida e oscura.

Una storia dall’Australia può dirci molto. “In una riserva, tra gli aborigeni, c’era un uomo anziano. Posso assicurarvi che non avete mai visto una situazione difficile come quella in cui era quel pover’uomo. Egli era ignorato da tutti. La sua casa era disordinata e sporca. Gli dissi, ‘Per favore, lasciami pulire la tua casa, lavare i tuoi vestiti e rifare il letto’. Mi rispose, ‘Sto bene così’. Io ho insistito, ‘Ti sentirai ancora meglio se mi lasci fare’. Alla fine, ha acconsentito.

Così, ho potuto pulire la sua casa e lavargli i vestiti. Ho scoperto una bellissima lampada, coperta dalla polvere. Solo Dio sa quanti anni erano passati dall’ultima volta che egli l’aveva spolverata. Gli ho detto, ‘Non accendi la tua lampada? Non la usi mai?’. Mi ha risposto, ‘No. Nessuno viene a farmi visita. Non ho bisogno di accenderla. Per chi mai dovrei farlo?’. ‘La accenderesti ogni notte – ho replicato – se le suore venissero?’. Mi ha detto, ‘Certo’. Da quel giorno, le sorelle si sono impegnate a fargli visita ogni sera. Pulivamo la lampada, e la accendevamo.

Sono passati due anni. Ho completamente dimenticato quell’uomo. Lui ha mandato questo messaggio: ‘Dica alla mia amica che la luce che essa ha acceso nella mia vita sta ancora splendendo’. Ho pensato che era davvero qualcosa di molto piccolo. Noi spesso trascuriamo le cose piccole”.

La missione di Madre Teresa si è sviluppata attraverso una consapevolezza piena del lavoro missionario. Una sua riflessione, sui cambiamenti e le sfide accaduti grazie al suo impatto.

La missione di Madre Teresa ha avuto molte conseguenze. Una volta qualcuno le ha detto che non doveva preoccuparsi della povertà in sé, ma occuparsi delle sue cause. La sua replica fu immediata: “Io capisco solo la realtà. Lascio agli altri scoprire le cause”. Ma nell’occuparsi della realtà, che si trattasse di povertà materiale concreta o solitudine o mancanza d’amore, Madre Teresa ha attirato forte attenzione alle cause della povertà.

Perfino la povertà in sé ha iniziato a essere compresa meglio. Quando quest’anno il governo ha cominciato a dibattere della norma sulla povertà, un portavoce ha detto: “La povertà non riguarda solo il cibo. Riguarda la casa, l’educazione familiare, la salute e altre realtà analoghe”.

Le persone hanno iniziato a offrire qualcosa di più di un riparo o del cibo. L’avvio del reparto di fisioterapia, nelle case delle Missionarie della Carità è un esempio concreto. Persone qualificate vanno per offrire assistenza ai poveri.

L’apostolato di Madre Teresa tra i lebbrosi è un altro buon esempio. I malati di lebbra erano spesso marchiati come intoccabili e costretti a vivere in desolanti tuguri fuori dalla città. Madre Teresa ha cominciato con il villaggio di Shanti Nagar (Città della pace) in Bengala (oggi Bangladesh, al confine con lo Stato indiano del Bihar, ndr). Esso ora è sia una casa per i malati di lebbra che un centro di riabilitazione. Molti pazienti di Shanti Nagar hanno una loro casa e sono impegnati in piccoli lavori. Le colonie di lebbrosi di Titagarh, Puri e Cuttack sono altri esempi.

La missione di Madre Teresa era di proclamare Cristo e diffondere la Sua Parola. Quali sono le sue riflessioni sullo spirito di evangelizzazione di Madre Teresa?

Il messaggio di Madre Teresa è semplice. Uno non ha bisogno di fare cose straordinarie. Lei voleva che le sue sorelle facessero cose ordinarie con amore straordinario. Il suo messaggio è trasmesso in modo molto forte in due eventi da lei narrati.

Morire come un angelo

Una sera siamo uscite e abbiamo raccolto quattro persone dalle strade. Una di loro era in condizioni disperate. Ho detto alle sorelle ‘prendetevi cura degli altri, io mi occuperò di lei’. Ho fatto tutto quello che il mio amore poteva fare. L’ho messa a letto e ho visto un sorriso bellissimo illuminarle il volto. Mi ha stretto la mano ed è riuscita a dire solo una parola, ‘grazie’. Poi ha chiuso gli occhi. Non ho potuto aiutarla, ma ho chiesto a me stessa: cos’avrei detto se fossi stata al suo posto? La mia risposta è stata molto semplice: avrei detto che ero affamata, che stavo morendo, che avevo freddo. O che questa o quella parte del mio corpo mi faceva male. Ma lei mi ha dato molto di più. Mi ha dato il suo amore riconoscente.

L’abbandono è una terribile povertà

Un giorno ho visitato una casa dove le nostre Missionarie accudivano gli anziani. È una delle case più belle dell’Inghilterra, piena di cose preziose, eppure non vedevo un sorriso sui volti di queste persone. Tutti stavano guardando verso la porta. Ho chiesto a una sorella: ‘Perché stanno così? Perché nessuno di loro sorride?’ (Sono abituata a vedere sorrisi sui volti della gente. Penso che un sorriso generi un altro sorriso, proprio come l’amore genera amore).

La sorella ha risposto: ‘Accade tutti i giorni. Sono sempre in attesa che qualcuno venga a fargli visita. La solitudine li mangia vivi e giorno dopo giorno non smettono di guardare. Nessuno viene’. L’abbandono è una povertà terribile. Ci sono persone povere ovunque, ma la povertà più profonda è non essere amata. Il povero che cerchiamo può vivere vicino a noi o molto lontano.

Possono essere poveri da un punto di vista materiale o spirituale. Potrebbero avere fame di pane o di amicizia. Potrebbero avere bisogno di vestiti, o del senso di benessere che l’amore di Dio rappresenta per loro. Potrebbero aver bisogno del riparo di una in mattoni e cemento, o del riparo di avere un posto nei nostri cuori.

È nelle piccole cose che si comunica l’amore: una visita, un sorriso, prendere per mano, offrire attenzioni e simpatia.


Mons. D’Souza commenta: “Madre Teresa sarà ricordata come la santa delle piccole cose. In questo il suo esempio può essere contagioso e ispirare persone di tutte le culture, religioni e stato sociale”.