Stupri e sfruttamento: il dramma quotidiano di 10mila profughi Chin a Delhi
La minoranza etnica birmana, fuggita dalla repressione dei militari, รจ vittima di abusi e vessazioni, privata di assistenza sanitaria e istruzione. Un rapporto del Comitato per i rifugiati Chin denuncia 35 casi di violenze. Il presidente lancia un appello: necessari permessi di soggiorno e maggiori aiuti dal governo indiano.
Delhi (AsiaNews) – Torture, minacce di morte, violenze fisiche, sfruttamento ed emarginazione nei luoghi di lavoro, mancanza di cure mediche. Sono solo alcune fra le molte difficoltà affrontate ogni giorno dai profughi Chin – una etnia del Myanmar, in fuga dalla repressione del regime birmano – rifugiati a Delhi, in India, in cerca di una vita migliore. Lo scorso 5 ottobre il Comitato per i rifugiati Chin (Crc) ha diffuso un rapporto intitolato: “La vita dei rifugiati Chin a Delhi: studio analitico”, in cui vengono descritte le principali problematiche legate alla minoranza perseguitata. Secondo le statistiche, vi sono circa 10mila profughi Chin a Delhi, la maggior parte dei quali vive in condizioni disumane senza protezione, sicurezza, diritti umani di base e beni di prima necessità fra cui cibo, vestiti, istruzione e cure mediche.

Lo Stato Chin è situato a ovest dell’Unione del Myanmar e confina con la regione dell’Assam in India e col Mizoram in Bangladesh. Il territorio è caratterizzato da una superficie quasi per intero montagnosa, poche le vie di comunicazione che determinano un isolamento rispetto al resto della nazione. Fuggiti alla ricerca di una vita migliore, per i profughi Chin ogni giorno rappresenta una sfida per la sopravvivenza. Il rapporto documenta la “vita quotidiana” delle persone e denuncia almeno 35 casi di violenze, vessazioni di proprietari terrieri o datori di lavoro, stupri e di giustizia negata.

AsiaNews ne ha parlato con Bo Nai, presidente di Crc, scappato dalla ex-Birmania nel 1988; da anni egli ha dedica tempo e risorse per la difesa della minoranza etnica a Delhi. “La militarizzazione nelle aree in cui vivono le minoranze etniche – racconta l’attivista – la carestia di fiori di bambù nel 2008, il reclutamento forzato di civili hanno determinato un’impennata di rifugiati Chin negli ultimi anni”. Il motto promosso dai militari, “Una razza, una lingua, una religione”, ha dato il via a repressioni e torture contro le minoranze etniche. “In Birmania – continua – la giunta [militare, da pochi mesi sostituita da un governo civile ma sostenuto dall’esercito, ndr] ha governato con crudeltà, imprigionandoci e negando il principio della libertà religiosa. Al solo evocare la parola democrazia, ci sbattevano in prigione… Per questo siamo dovuti fuggire in India”.

Bo Nai spiega che ancora oggi nello Stato Chin il governo birmano nega diritti primari fra cui l’istruzione, strade e infrastrutture, ospedali, ma pretende il pagamento di tasse e balzelli. “La povertà nello Stato Chin ha raggiunto livelli talmente elevati – sottolinea il presidente Crc – che l’India ha donato 6 milioni di dollari” per far fronte all’emergenza. Fra i rifugiati a Delhi, invece, continuano i casi di violenze sessuali, attacchi, espropri dei piccoli beni posseduti, sfruttamento del lavoro che “viene pagato poco o nulla”. Il problema è “la mancanza di permessi di soggiorno”, continua l’attivista, e a molti rifugiati è inoltre “negata l’istruzione primaria o l’accesso a studi superiori”. Il governo indiano, conclude Bo Nai, dovrebbe “guardare alle sofferenze dei rifugiati sul proprio territorio” e la società civile indiana sostenerci “nella nostra lotta”.(NC)