Papa: il 19 marzo la sua lettera ai fedeli d’Irlanda
L’ha annunciato lo stesso Benedetto XVI durante l’udienza generale. Nel discorso ai presenti, il Papa ha parlato della teologia secondo san Tommaso e san Bonaventura, per il quale c’èun modo “arrogante” di fare teologia, una superbia della ragione, che si pone al di sopra della parola di Dio. Ma la vera teologia è spinta dal desiderio di conoscere sempre meglio e sempre più l’amato.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Il Papa firmerà il 19 marzo la sua lettera ai fedeli di Irlanda, nella quale affronterà la difficile situazione creatasi nella Chiesa di quel Paese per i casi di pedofilia avvenuti in passato all’interno di strutture ecclesiastiche. E’ stato lo stesso Benedetto XVI ad annunciarlo oggi, rivolgendosi ai fedeli di lingua inglese presenti tra le 11mila persone che hanno preso parte all’udienza generale. “Come sapete – ha detto loro - negli ultimi mesi, la Chiesa in Irlanda è stata messa a dura prova dalla crisi degli abusi sui minori. Come segno della mia profonda preoccupazione ho scritto una lettera pastorale per affrontare questa situazione dolorosa. La firmerò nella solennità di San Giuseppe, custode della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale, e la invierò subito dopo. Chiedo che la leggiate voi stessi, con cuore aperto e in uno spirito di fede. La mia speranza è che possa aiutare nel processo di pentimento, di guarigione e rinnovamento”.
 
Della “vera teologia che è dettata dall’amore di Dio”, il Papa ha invece parato nel discorso per l’incontro settimanale con i fedeli, descrivendo ciò che differenzia e accomune due grandi teologi del XIII secolo, san Bonaventura e san Tommaso. Il primo, teologo francescano, parla di “un modo arrogante di fare teologia, una superbia della ragione, che si pone al di sopra della parola di Dio. Ma la vera teologia, il lavoro razionale della vera teologia ha un’altra origine, non la superbia della ragione. Chi ama vuol conoscere sempre meglio e sempre più l’amato”.
 
Tratteggiando poi le caratteristiche del pensiero dei due grandi teologi, Benedetto XVI ha esemplificato che “per san Tommaso il fine supremo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. In questo semplice atto del vedere Dio trovano soluzione tutti i problemi: siamo felici, nient’altro è necessario”. “Per san Bonaventura il destino ultimo dell’uomo è invece: amare Dio, l’incontrarsi ed unirsi del suo e del nostro amore. Questa è per lui la definizione più adeguata della nostra felicità”.   ”In tale linea, potremmo anche dire che la categoria più alta per san Tommaso è il vero, mentre per san Bonaventura è il bene”. Ma “sarebbe sbagliato” vedere tra i due una contraddizione. “Per ambedue il vero è anche il bene, ed il bene è anche il vero; vedere Dio è amare ed amare è vedere. Si tratta di accenti diversi di una visione fondamentalmente comune. Ambedue gli accenti hanno formato tradizioni diverse e spiritualità diverse e così hanno mostrato la fecondità della fede, una nella diversità delle sue espressioni”.  
San Bonaventura, poi, studiando una nuova raduzione dello Pseudo-Dionigi, teologo siriaco del VI secolo, afferma che “nella salita verso Dio si può arrivare ad un punto in cui la ragione non vede più. Ma nella notte dell’intelletto l’amore vede ancora, vede quanto rimane inaccessibile per la ragione. L’amore si estende oltre la ragione, vede di più, entra più profondamente nel mistero di Dio”. “Proprio nella notte oscura della Croce appare tutta la grandezza dell’amore divino; dove la ragione non vede più, vede l’amore”. “Tutto questo non è anti-intellettuale e non è antirazionale: suppone il cammino della ragione, ma lo trascende nell’amore del Cristo crocifisso. Con questa trasformazione della mistica dello Pseudo- Dionigi, san Bonaventura si pone agli inizi di una grande corrente mistica, che ha molto elevato e purificato la mente umana: è un vertice della storia dello spirito umano”.
 
In conclusione, Benedetto XVI ha evidenziato che per san Bonaventura “tutta la nostra vita è un itinerario, un pellegrinaggio, una salita verso Dio. Ma con le nostre sole forze – ha commentato - non possiamo salire verso l’altezza di Dio. Dio stesso deve aiutarci, deve ‘tirarci’ in alto. Perciò è necessaria la preghiera. La preghiera, così dice il santo, è la madre e l’origine della elevazione, azione che ci porta in alto”.