Ho Chi Minh City, al via il processo contro quattro attivisti pro diritti umani
Fra loro vi è anche Paul Le Cong Dinh, avvocato cattolico e voce critica del governo comunista. Essi rischiano condanne da un minimo di 12 anni alla pena capitale. Movimenti democratici all’estero denunciano la “crescente repressione” di quanti si battono per la libertà di espressione.
Ho Chi Minh City (AsiaNews/Agenzie) – È iniziato oggi, nel tribunale popolare di Ho Chi Minh City, il processo a carico dell’avvocato cattolico Paul Le Cong Dinh e di altri tre attivisti per la democrazia. Gli imputati sono accusati di sovversione e complotto volto a rovesciare il governo comunista. Essi rischiano una pena che varia da un minimo di 12 anni di galera alla pena di morte.
 
Il processo intentato a carico degli attivisti vietnamiti ha suscitato sdegno all’estero. Gruppi pro diritti umani lo considerano un segno della crescente repressione dei movimenti democratici e di quanti si battono per la libertà di espressione. L’udienza dovrebbe durare due giorni.
 
Da tempo il governo vietnamita non intentava un processo con l’accusa di sovversione, considerato uno dei reati più gravi dal regime comunista. I quattro imputati – Paul Le Cong Dinh, 41 anni, Tran Huynh Duy Thuc, 43 anni, Nguyen Tien Trung, 26 anni, e Le Thang Long, 42 anni – sono stati arrestati nel giugno scorso con un capo di imputazione meno grave: diffusione di propaganda antigovernativa. Tuttavia, all’inizio di dicembre il pubblico ministero ha aggravato la posizione degli arrestati con accuse più gravi.
 
Paul Le Cong Dinh (nella foto), avvocato vietnamita cattolico di 41 anni, ha più volte difeso attivisti per i diritti umani ed è autore di pubblicazioni che evidenziano i difetti del sistema economico, sociale e politico del suo Paese.
 
Nel fascicolo depositato dal pm – riferisce l’agenzia governativa Vietnam News Agency (Vna) – si parla inoltre di “legami con gruppi reazionari ed elementi ostili in esilio” per formare “organizzazioni politiche reazionarie”. L’obiettivo sarebbe quello di “minare” la leadership politica attraverso una lotta “non-violenta”, nel tentativo di realizzare la loro “evoluzione in modo pacifico”.
 
Appare poco probabile che gli attivisti alla sbarra saranno condannati alla pena capitale. Tuttavia, essi rischiano di trascorrere diversi anni in prigione.