Israele sotto shock per i risultati elettorali
di Arieh Cohen
Non c’è garanzia per alcun governo. La destra è sicura della maggioranza, ma c’è conflitto fra il partito laico di Liebermann e l’ultra-ortodosso Shas. Improbabile un governo di coalizione nazionale che comunque escluderebbe passi nel processo di pace. La pace e la risoluzione del conflitto israelo-palestinese sono rimandati a un altro governo.

Tel Aviv (AsiaNews) – Gli israeliani moderati, “normali”, stanno ancora cercando di riprendersi dallo shock provocato dai risultati delle elezioni generali del 10 febbraio scorso, che hanno visto l’ascesa di una forte destra nazionalista. In essa, in modo del tutto inusuale, vi è pure una larga rappresentanza di frange della destra estrema. Più di ogni altro risultato, sta causando costernazione il numero di seggi che - nel parlamento unicamerale (Knesset) di 120 seggi – andranno all’estrema destra nazionalista del partito Yisrael Beiteinu. L’estremismo nazionalista di questo partito non solo combatte per la continuazione dell’occupazione militare della West Bank e del Golan (cominciata nel 1967); esso incita pure alle tensioni etniche anche fra la maggioranza ebraica e la minoranza araba all’interno di Israele stesso.

Yisrael Beiteinu è capeggiato da Avigdor Liebermann, un colono proveniente dalla Russia, con cui continua a mantenere rapporti disgustosi, sotto continua inchiesta da parte di polizia e pubblici ministeri, sospettato di corruzione e di riciclaggio di denaro sporco. Questo partito potrebbe avere un ruolo chiave per costituire un governo di destra guidato da Netanyahy, se ve ne sarà uno. L’unico raggio di speranza in questi risultati è che l’estremismo di Liebermann è strettamente laico e perfino anticlericale e il suo partito potrebbe servire da contrappeso al programma teocratico e fondamentalista del partito Shas, un altro probabile importante partner in un futuro governo Netanyahu.

Ma sarà proprio Netanyahu a formare un governo? Questo non è ancora per nulla certo, sebbene egli continui a dire di esser sicuro. Netanyahu è già stato primo ministro dal 1996 al 1999 e il suo periodo è ricordato in genere come uno squallido fallimento su tutti i fronti. Ad ogni modo, almeno in teoria, egli può contare su una maggioranza parlamentare tutta fatta dalla destra, mentre il partito Kadima della Livni, anche se ha un numero maggiore di seggi, non può costruire una maggioranza di centro-sinistra perché questa maggioranza semplicemente non esiste.

In questa situazione, molti sono d’accordo nel dire che il “meno peggio” sarebbe un governo di coalizione fatto dal Likud di Netanyahu, dal Kadima della Livni e da ciò che rimane del Labour di Ehud Barak (ancora più devastato da queste elezioni, dopo anni di inesorabile declino). Insieme, questi tre partiti possono contare su una confortevole maggioranza parlamentare e potrebbero anche permettersi di lasciar fuori tutti i “pazzi”, gli estremisti nazionalisti e i fondamentalisti religiosi.

Ma potrà succedere? Molta gente con cui ho parlato dubitano che Netanyahu e Livni mettano da parte i loro “ego” almeno per accordarsi su un minimo “programma di emergenza”. E anche se questo dovesse succedere, è quasi certo che con il Likud di Netanyahu nel governo, con un tale ruolo di guida (o di “co-guida”), non vi sarà alcuna prospettiva per un qualche trattato di pace, né con i palestinesi, né con la Siria. In tal modo, i popoli di quest’area e i loro governi non potranno sperare di risolvere il conflitto, ma al massimo di “contenerlo” al meglio possibile, evitando inutili provocazioni. Intanto aspetteranno un’altra elezione e un altro governo in Israele che possa raccogliere la sfida della pace.