Salvare il monastero di Mor Gabriel per garantire una Turchia multiculturale
di Geries Othman
Capi musulmani ne cercano la distruzione e hanno intentato un processo contro il monastero, accusato di proselitismo. Centro spirituale e culturale dei siro-ortodossi, si usa ancora l’aramaico antico, la lingua parlata da Gesù. Negli anni ’60 vivevano a Tur Abdin almeno 130 mila siriaci. Oggi sono soltanto 3 mila. Per la difesa di questa minoranza, la comunità spera in un richiamo dell’Unione europea verso Ankara.

Ankara (AsiaNews) – In questi giorni si tengono manifestazioni in molti paesi europei per salvare il monastero di Mor Gabriel, centro spirituale della comunità siro-ortodossa in Turchia.

Fondato nel 397, esso è il più antico monastero cristiano nel mondo, ancora funzionante. Si trova sul Tur Abdin, “La Montagna dei Servi di Dio”, sull’ altopiano turco ai confini con l’Iraq. Sede del Metropolita del Tur Abdin, Mor Timotheus Samuel Aktas, con i suoi tre monaci, le 14 suore e i 35 ragazzi che lì vivono e studiano, è punto di riferimento religioso e culturale per tutti i cristiani siro- ortodossi, che conservano ancora l’aramaico antico, la lingua di Gesù. Ogni anno riceve più di diecimila turisti e pellegrini, molti dei quali siriaci della diaspora in Germania, Svizzera e Svezia.

Ora però il futuro del monastero e della minoranza cristiana è minacciato da una serie di processi intentati contro i monaci e la prestigiosa istituzione religiosa. Nell’agosto 2008, i capi dei tre villaggi musulmani attorno al convento hanno denunciato la comunità proselitismo, per avere degli scolari a cui tramandare la fede cristiana e la lingua aramaica. L’accusa non è stata ancora accolta dalla Corte di giustizia turca. Tuttavia, in seconda istanza, i capi dei villaggi richiedono che il terreno del convento sia espropriato e diviso tra i villaggi; che sia abbattuto un muro costruito negli anni ’90 (quando il convento si trovava sulla linea di conflitto fra esercito turco e partito comunista curdo (Pkk). Secondo i capi musulmani, sul terreno su cui è costruito il convento, in precedenza si trovava una moschea. “ L’accusa è assurda – afferma David Gelen, leader della Federazione Aramaica - : il monastero è del 397 dopo Cristo, circa 200 anni prima del profeta Maometto e della costruzione di qualunque moschea. Eppure la Corte di giustizia ha deliberato la procedura”.

Gelen pensa sia in atto una “campagna di intimidazione” contro i religiosi del convento. “Vescovo,  monaci e suore – continua Gelen - sono minacciati in modo sempre più diretto dagli abitanti dei villaggi: che non osino presentarsi ai processi o difendersi in qualche modo. Così da tempo, monaci e suore non hanno il coraggio uscire dalla cerchia delle mura”.

“In Turchia – spiega Gelen - la libertà di espressione religiosa è garantita dalla costituzione; ma chi non è riconosciuto come minoranza, di fatto non esiste. Ora i siriaci, a differenza di greci e armeni, non sono riconosciuti come minoranza religiosa, sebbene essi vivano da millenni su quel suolo. L’obbiettivo delle minacce e il processo sembra essere un modo di reprimere ed espellere questa minoranza dalla Turchia, come un corpo estraneo”.

La comunità siriaca spera molto nell’Unione europea, che l’11 febbraio dovrà affrontare con il governo turco la questione della libertà religiosa e dei diritti umani delle minoranze non musulmane presenti sul suo territorio.  “Noi speriamo non solo che i nostri diritti siano riconosciuti, - dichiara David Gelen - ma siamo convinti che per lo Stato turco sia giunta l’ora di riconoscere, accettare e proteggere la molteplicità culturale del Paese, invece di combatterla. La Turchia deve decidere se vuole conservare una cultura antica di 1600 anni, o se vuole annientare anche gli ultimi resti di una tradizione non musulmana. É in gioco la multiculturalità che ha sempre caratterizzato questa nazione sin dai tempi dell’Impero ottomano”.

Dal 1923, quando si costituisce lo stato turco, i siro-ortodossi si sono ritrovati dispersi in 4 Paesi: Siria, Turchia, Iraq, Iran. Yasar Ravi, presidente della comunità siro-ortodossa di Antiochia, fa notare che il Trattato di Losanna garantiva a questa minoranza alcune libertà essenziali, ma “le cose sono andate diversamente”.

Da allora è iniziato un esodo continuo della comunità verso l’Europa Centrale e nel Nord, in particolare in Germania (dove risiedono 20 mila siriaci) e in Svezia (con 70-80mila presenze). A metà degli anni '60 a Tur Abdin ve n'erano ancora circa 130 mila; oggi essi sono appena 3.000.

“Non abbiamo un territorio, siamo sparpagliati per il mondo, ma siamo molto uniti grazie alla nostra identità linguistica, sociale e culturale – prosegue Yasar Ravi. - La religione, ce lo insegna la storia, ha sempre avuto una parte predominante nella civiltà…  Il nostro è senza dubbio un popolo molto religioso e siamo orgogliosi di parlare la lingua che fu di Gesù: lingua che, per diffusione, in pratica è stata l’inglese del Medio Oriente”.