Da Mosca un Patriarca per il Terzo millennio
Dopo la morte di Alessio II, una grande occasione per la rinascita spirituale delle comunità ortodosse russe e l’apertura verso l’ecumenismo e la missione comune fra i cristiani. Ma il peso del potere politico e la tradizione “sinfonica” fra Stato e Chiesa potrebbero portare a delle sorprese.

Mosca (AsiaNews) - Alla fine di gennaio 2009 si terrà l’elezione del nuovo Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Sarà un evento di grande significato non solo per la Chiesa Ortodossa Russa, ma per tutta la storia universale del cristianesimo. Sarà infatti un evento per molti aspetti innovativo.

La novità non sta sul fatto dell’elezione in sé[1], ma delle circostanze in cui essa avviene. Il Patriarcato di Mosca, infatti, è un’istituzione piuttosto anomala nella storia del cristianesimo, che ha dovuto passare fasi molto confuse e contraddittorie nei quattro secoli della sua esistenza. Fu istituito nel 1589 in una fase di estrema crisi del suo omologo originario, il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, con notevoli forzature da parte del potere politico (lo zar di Russia) e con l’accompagnamento di una ideologia politico-religiosa assolutamente inedita, quella della “Terza Roma” (Mosca) che avrebbe dovuto sostituire le prime due (Roma e Bisanzio), e realizzare in senso apocalittico il destino del cristianesimo[2]. Gli altri Patriarcati ortodossi “nazionali” (oggi sono 14 in tutto) si affermano solo nell’Ottocento, come conseguenza dei movimenti irredentisti europei[3].

Mentre il Papato romano (il “Patriarcato d’Occidente”) si attesta all’inizio del secondo millennio come una monarchia assoluta e indiscussa, Mosca irrompe alla fine del Medioevo come un fattore del tutto destabilizzante e incontrollabile, che di fatto spariglia l’equilibrio politico ed ecclesiastico, e genera una potenza mondiale ispirata dal cristianesimo politico che ancora oggi aspira a un ruolo tutto da verificare.

Chiesa ortodossa e potere politico

Lo strettissimo rapporto della Chiesa Ortodossa con il potere mondano discende dal tema della “sinfonia” bizantina. In esso è difficile distinguere quale dei due poteri prevalga sull’altro, vista la loro totale sovrapposizione. Tale rapporto a Mosca vive oggi una fase nuova e ancora da decifrare. Nel Seicento russo il Patriarcato era di fatto un calco assolutista del potere dello zar, che arrivò a interpretazioni talmente arbitrarie e dispotiche (come quella del patriarca Nikon, che provocò il grave scisma dei “vecchio-credenti”) da indurre lo zar “modernizzatore” Pietro il Grande ad abolirlo all’inizio del XVIII secolo, sostituendolo con un Ministero statale del culto. La subordinazione assoluta della Chiesa al potere statale si è di fatto replicata sotto il regime sovietico: pur tentando a più riprese di distruggerla, ha poi di fatto preferito “usare” la Chiesa a tutela della propria autorità alla maniera degli zar. I cinque Patriarchi “sovietici”  (Tikhon, Sergio, Alessio I, Pimen, Alessio II) sono stati di fatto dei funzionari statali, e solo con Alessio II la situazione si è evoluta fino all’attuale bivio: il nuovo Patriarca saprà ritagliarsi un nuovo ruolo?

In questo quadro è utile rammentare il particolare contesto in cui avvenne la restaurazione del Patriarcato dopo l’abolizione del 1700, e cioè il Concilio di Mosca del 1917-1918. A cavallo delle rivoluzioni di febbraio e di ottobre, dopo il traumatico crollo dello zarismo, il Concilio fu un tentativo abortito di rinnovamento profondo della vita della Chiesa russa. In esso si confrontarono la tradizione mistico-apocalittica dell’ortodossia russa come “parola finale” del cristianesimo storico, e le grandi suggestioni della filosofia religiosa “slavofila” che dall’Ottocento giungeva alla “rinascita religiosa” di inizio Novecento, espressa da intellettuali come Solov’ev, Florenskij, Berdjaev e Bulgakov. In gioco era la concezione stessa della Chiesa, come istituzione storica e struttura di potere, a fronte della sua natura spirituale e comunionale, secondo la teoria russa della sobornost’, l’unità nell’amore suscitata dallo Spirito, senza costrizioni di autorità alcuna. Il Concilio si orientò all’inizio sulla linea “spirituale”, ipotizzando una gestione assolutamente “democratica” delle strutture ecclesiastiche, con l’elezione diretta dei vescovi e dei parroci da parte dei fedeli; la stessa composizione del Concilio vedeva un’ampia maggioranza di membri laici sugli ecclesiastici, 346 a 250. La restaurazione del Patriarcato divenne prioritaria solo con la presa del potere da parte dei bolscevichi, come figura in grado di rappresentare la Chiesa intera sotto l’assedio del nemico ateista, e finì per conservare un profilo assolutista e quasi “papista”, che venne poi addomesticato e strumentalizzato dai comunisti per meglio controllare i fedeli.

Il Patriarcato di Alessio II ha mostrato tutti i segni delle contraddizioni accumulatesi nei secoli, e in particolare nel periodo sovietico. Egli stesso, consacrato vescovo nel 1961, nella fase di peggiore persecuzione khrusceviana della Chiesa, è stato condizionato in modo inevitabile dalla lunga pratica collaborazionista con il potere; la sua stessa elezione nel 1990 è ancora situata nel contesto dell’URSS, pur in fase ormai terminale. Gli ultimi vent’anni sono stati talmente incerti e ondivaghi, che anche la Chiesa ha in buona parte “navigato a vista”, per attestarsi nell’ultimo periodo “putiniano” ancora una volta su posizioni nazionaliste ed egemoniche, ma senza risolvere le sue molte contraddizioni interne.

Kirill e Kliment, candidati “forti”

Oltre ad Alessio, l’uomo forte del Patriarcato nel periodo post-comunista è stato senz’altro il metropolita Kirill (Gundjaev) di Smolensk, 62 anni (vescovo dal 1976, a 29 anni), che non a caso ha assunto le funzioni temporanee di “luogotenente patriarcale”, e risulta essere il candidato naturale alla successione. Nell’ultimo ventennio Kirill ha espresso una posizione di tradizionale compromissione con il potere politico, ovviamente non più così subordinata come sotto i comunisti; al contrario, egli è stato in buona parte l’ideologo e l’ispiratore della transizione politica degli ultimi dieci anni, della rinascita dell’orgoglio russo come superpotenza mondiale cristiano-ortodossa, in bilico tra l’Occidente protestante e cattolico - ormai decadente e secolarizzato - e l’Oriente emergente e attraversato da vari fanatismi religiosi. Per altri aspetti, Kirill ha tentato di far rientrare nella vita della Chiesa Ortodossa russa alcuni principi di dottrina sociale “comunitaria” e riformista, riprendendo il dibattito del Concilio del 1917, ma con risultati ad oggi ancora molto limitati, senza riuscire a far convocare un vero e proprio Concilio di tutta la Chiesa russa. Anche nel 2000, per celebrare il secondo millennio cristiano, si è radunato solo un Sinodo dei vescovi.

Sul fronte opposto a Kirill, sono emerse nel post-comunismo posizioni molto radicali dell’ortodossia russa, in senso conservatore e spiritualista, contrarie a ogni riforma e a ogni apertura. Questi settori sono concentrati soprattutto nei monasteri, fucina dell’ortodossia più intransigente e spesso anche aggressiva, che ha prodotto un’ondata di nuovi vescovi più giovani e in buona parte contrapposti all’episcopato di provenienza “sovietica”, più moderato e accomodante. Gli ultimi anni, in previsione della sempre più probabile successione ad Alessio II (le cui condizioni di salute erano da tempo cagionevoli), sono stati spesi alla ricerca di equilibrio interno tra le varie anime della Chiesa Ortodossa, e soprattutto le due correnti principali, riformista e conservatrice (che in parte ricalcano il classico dualismo russo tra occidentalisti e slavofili). Un’espressione di questo equilibrio è senz’altro la figura del metropolita Kliment (Kapalin) di Kaluga, 59 anni (vescovo dal 1982, a 33 anni), partito da posizioni vicine a Kirill (di cui era il vice-segretario di stato), e diventato poi piuttosto il rappresentante della parte più conservatrice, dopo aver assunto la carica di amministratore del Patriarcato (una specie di “ministro degli interni”, mentre Kirill segue le relazioni esterne). Il quadro di partenza presenta quindi Kirill e Kliment come candidati “forti” in partenza, lasciando come formali riserve i metropoliti anziani delle sedi più eminenti (Juvenalij di Krutitskij, Vladimir di San Pietroburgo, Filaret di Minsk e Volodymir di Kiev), le cui possibilità di essere eletti sono peraltro abbastanza limitate. Questo schema “dualista”, tuttavia, rischia di essere decisamente insufficiente per comprendere a fondo la situazione, piena di variabili non del tutto evidenti.

Incertezze nell’elezione

Anzitutto, il meccanismo di elezione non è ancora predisposto fino in fondo. Il Luogotenente Kirill, muovendosi abbastanza velocemente per evitare lunghe discussioni dalle imprevedibili conseguenze, sta tentando di riprodurre almeno in parte lo spirito partecipativo del Concilio del 1917, aprendo ai delegati di tutte le categorie del corpo ecclesiastico. L’elezione del nuovo Patriarca avverrà nella Chiesa del Salvatore a Mosca, in un Concilio Locale che si terrà dal 27 al 29 gennaio 2009, e immediatamente dopo (il 1 febbraio) ci sarà l’intronizzazione. Il numero dei delegati arriverà a 700, rappresentanti delle 156 diocesi (un chierico, un monaco e un laico per ciascuna) e delle comunità all’estero; alcuni delegati arriveranno dai seminari e dai monasteri femminili patriarcali. Le liste dei delegati saranno chiuse il 15 gennaio; il 25-26 gennaio il Sinodo dei vescovi esprimerà i candidati, e il tutto sarà coordinato da una commissione di 29 membri, ecclesiastici e laici. Non si sa ancora come avverrà l’elezione: nel 1917 si scelsero tre candidati, fra i quali fu scelto il Patriarca tirando a sorte: i più conservatori preferiscono questa soluzione. Nel 1990 si arrivò al ballottaggio tra i due candidati maggioritari, ancora sotto lo sguardo vigile del ministro del culto sovietico. Il quadro appare quindi ancora incompleto, e ogni dettaglio viene analizzato anche in funzione dell’equilibrio tra i due principali candidati di partenza.

Di sicuro sarà un’elezione molto inedita, assai più libera e democratica di tutte le precedenti, nonostante tutti i condizionamenti della politica e dell’opinione pubblica: questo ne fa un fenomeno unico, da osservare anche per i non ortodossi, alla ricerca di nuovi modelli ecclesiologici per lo sviluppo dell’ecumenismo.

Nel calcolo delle variabili c’è anche da considerare la possibilità che le varie componenti del Concilio elettivo si orientino in modo del tutto imprevisto, scegliendo tra i 40 metropoliti russi una personalità decisamente meno conosciuta. La componente monastica è quella meno controllabile, in quanto dipendente da direttive confidenziali, ma molto autorevoli, di padri spirituali (startsy) che nella tradizione orientale spesso sono più importanti ed efficaci degli stessi gerarchi, e che si ispirano a visioni molto carismatiche e di difficile interpretazione. Alcuni di essi, di fatto, controllano migliaia di monaci al di là delle istituzioni ufficiali. Nella composizione del Concilio i monaci non dovrebbero raggiungere la maggioranza, ma il loro influsso potrebbe condizionare anche i laici e parte degli altri ecclesiastici.

L’Ucraina e il potere politico

Un altro fattore importante sarà sicuramente la componente ucraina del Concilio: nonostante in Ucraina la Chiesa Ortodossa sia divisa in vari tronconi, la giurisdizione fedele a Mosca è comunque molto ricca di diocesi e monasteri, e avrà un discreto peso nel numero complessivo dei delegati (da sempre l’Ucraina è la culla del cristianesimo russo), e quindi cercherà di orientare il Concilio su un candidato che garantisca la massima autorevolezza all’esarcato di Kiev (e questi non sarebbe sicuramente Kirill, poco probabile anche Kliment). Tanto per non lasciare dubbi sulle loro intenzioni, gli ucraini hanno già presentato il loro metropolita Volodymir come possibile candidato “di bandiera”. Alcuni fanno balenare anche la possibilità che salti fuori un testamento di Alessio II, che in qualche modo possa condizionare l’elezione del successore. Da ultimo, come è ovvio, tutti si chiedono a chi andranno i favori del Cremlino (di Putin in particolare), che pur avendo da sempre un rapporto privilegiato con Kirill, potrebbe temerne l’eccessiva intraprendenza, e preferirgli Kliment o un outsider ancora più malleabile. Se il potere statale decidesse di pilotare direttamente l’elezione, sarebbe assai difficile anche per lo Spirito Santo sottrarsi al suo volere.

[1] Dalla fine del XVI secolo si sono avvicendati una ventina di patriarchi moscoviti, tenendo conto anche dei “luogotenenti patriarcali”.

[2] “Una quarta [Roma] non ci sarà”, recita la profezia del monaco Filofej a metà del ‘500.

[3] Va detto che i Patriarcati sono strutture dai contorni indefiniti, risalenti in origine all’epoca patristica, quando al concilio di Calcedonia del 451 si volle esaltare il ruolo della capitale d’Oriente come “seconda Roma” a fianco della prima, ponendo a corona i tre Patriarcati “storici” di Gerusalemme, Antiochia e Alessandria (di fatto già superati dalla storia) nella figura ideale della “pentarchia”, le cinque dita della mano che reggono il timone della Chiesa. Era di fatto una diarchia, che rispecchiava la realtà delle due parti dell’Impero romano come divisione geopolitica del mondo, che in qualche modo sarebbe rimasta un “classico” nella teologia politica universale.