Shenzhen: scontri fra la folla e i poliziotti, decine i feriti
La causa è la morte di un motociclista durante un pattugliamento della stradale. I parenti accusano la polizia, che respinge ogni addebito. I manifestanti hanno lanciato petardi e sassi contro gli agenti, i quali hanno reagito caricando i rivoltosi. Ogni giorno la Cina è sconvolta da centinaia di rivolte sociali.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – È tornata la calma a Shenzhen (Guangdong), dopo i gravi scontri fra la folla e le forze dell’ordine di ieriì 7 novembre. All’origine delle violenze la morte di un motociclista, il quale non si sarebbe fermato all’alt intimatogli dagli agenti impegnati in una serie di pattugliamenti a Bao’An, il più popoloso dei sei distretti che compongono la città.

Li Guochao, 31 anni, viaggiava a bordo di un motociclo sprovvisto di targa. All’alt delle guardie egli avrebbe cercato di forzare il blocco; uno degli agenti gli ha scagliato addosso il proprio walkie-talkie, facendogli perdere il controllo del mezzo che è andato a sbattere in modo violento contro un pilone. Il motociclista è morto poco dopo l’arrivo all’ospedale a causa delle gravi ferite riportate nell’urto.

Le forze dell’ordine si giustificano sottolineando che “nel momento in cui si sono verificati i fatti” non era presente “nessun poliziotto” sul luogo dell’incidente, ma solo un agente della stradale “distante 300 metri dal punto in cui si è verificato l’incidente”. I parenti di Li Guochao “hanno pensato a torto che il controllo era stato organizzato dal distaccamento della polizia stradale di Shiyan”, quartiere dove si sono verificati i fatti.

Un malinteso, secondo le forze dell’ordine. Colpa della polizia, per i familiari, che hanno trasportato il cadavere del motociclista davanti al comando della stradale e hanno fatto esplodere una serie di petardi.  La tensione è salita fino a degenerare in violenti scontri fra i poliziotti e centinaia di manifestanti, che hanno lanciato pietre e sassi all’indirizzo degli agenti.

Villaggio di pescatori fino alla fine degli anni ’70, oggi Shenzhen, poco distante da Hong Kong, è una metropoli moderna di otto milioni di abitanti; essa è stata teatro delle prime riforme economiche volute da Deng Xiaoping ed è ancora il bacino industriale trainante del Paese.

La Cina non è nuova a rivolte sociali e scontri fra poliziotti e privati cittadini, esasperati dal clima di impunità che regna attorno alle forze dell’ordine o ai funzionari di partito. Il 5 settembre nella contea di Shenqui (Henan) migliaia di studenti si sono scontrati con la polizia ingaggiando per ore una guerriglia urbana. Essi protestavano contro la chiusura dei campi sportivi per la costruzione di immobili a fini speculativi; decine i feriti.

Giovedì 4 settembre migliaia di agenti e manifestanti si sono contrapposti nel corso di due diverse proteste: la prima a Jishou (nello Hunan), dove 10 mila persone si sono riversate per le strade della città chiedendo di essere risarcite del denaro sottratto, in maniera “fraudolenta”, da una società di raccolta fondi. La seconda nella città costiera di Ningbo, nella Cina orientale, durante la quale oltre 10mila dimostranti hanno preso d’assalto una azienda chiedendo giustizia per un giovane che, secondo i testimoni, è stato lanciato fuori da una delle finestre riportando numerose ferite.

Nel giugno scorso la provincia di Guizhou è stata teatro di una vera e propria rivolta popolare, alla quale hanno preso parte decine di migliaia di persone che chiedevano giustizia per la morte di una ragazza; la manifestazione è stata repressa nel sangue dalla polizia e dai reparti anti-sommossa dell’esercito cinese.

Le rivolte di privati cittadini sono un segnale del malessere che regna fra i cinesi, indignati dai continui episodi di corruzione fra i membri del partito e dei governi locali a dispetto degli slogan lanciati dal presidente Hu Jintao, che inneggiano alla “società armoniosa” e allo sviluppo economico per tutti.