Myanmar, Laura Bush visita i profughi di Nargis e invoca sanzioni contro la giunta militare
Domani il Paese ricorda la strage dell’agosto 1988, quando la giunta militare massacrò 3mila persone che chiedevano democrazia e diritti umani. La first lady Usa invita diversi Paesi, fra cui la Cina, ad appoggiare gli Stati Uniti nelle sanzioni contro la dittatura al potere.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) – L'appoggio al governo Usa nelle sanzioni contro la giunta militare al potere nella ex Birmania.è stato chiesto dalla first lady Laura Bush a diversi Stati, fra i quali la Cina, in occasione di una visita ai campi profughi al confine fra Mynamar e Thailandia.

Domani nel Paese asiatico – fra imponenti misure di sicurezza – si ricorda il ventesimo anniversario (8.8.88) della strage voluta dalla dittatura militare, che ha represso nel sangue una dimostrazione popolare che chiedeva democrazia e diritti umani in Myanma, causando oltre 3mila morti. La moglie del presidente Usa, che accompagna il marito nell’ultimo viaggio in Asia da capo di Stato, ha visitato il campo profughi di Mae La e i pazienti di un ospedale famoso per il proprio nome – “Madre Teresa della Birmania” – e condotto da un gruppo di donne. Nel campo profughi la first lady ha potuto vedere le condizioni di vita degli oltre 38mila profughi ospitati nel centro, la maggior parte dei quali appartenenti alla minoranza etnica Karen e vittime di massacri, stupri e razzie perpetrati dalla giunta militare al potere.

La repressione civile e politica voluta dalla dittatura birmana ha causato la fuga di oltre 140mila persone, ospitate nei centri di accoglienza dislocati lungo il confine; altri 30mila sono stati accolti da diversi Paesi terzi, di cui 21mila proprio negli Stati Uniti.

Martedì scorso si è invece conclusa la visita in Myanmar dell’inviato Onu per i diritti umani: Tomas Ojea Quintana ha potuto costatare le condizioni di vita dei profughi nelle zone colpite dal ciclone Nargis, per poi entrare nella prigione di “Insein” a Yangon, famosa per essere il principale centro di detenzione per gli oltre 2mila dissidenti politici del Paese. Egli avrebbe chiesto alla giunta militare di rispettare le leggi internazionali, con un particolare riferimento alle tematiche più sensibili: lavori forzati, repressione violenta dei gruppi pro-democrazia, persecuzione delle minoranze etniche e carcere per reati “politici” o ideologici.