Due reporter giapponesi arrestati e percossi: “indagavano” sull’attentato nello Xinjiang
Tokyo preannuncia proteste ufficiali. Intanto c’è polemica sull’attentato di ieri nello Xinjiang. Maggiori controlli a Pechino e altrove. Ma per il Cio non ci sono grandi problemi, per diritti umani, censura, sicurezza e inquinamento. Cosa pensano gli atleti del Nepal, in partenza per Pechino.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Due reporter giapponesi sono stati arrestati e percossi dalla polizia cinese a Kashgar (Xinjiang), dove indagavano sull’attentato che ieri ha ucciso 16 poliziotti. Nobutaka Machimura, portavoce di Tokyo, dice che “l’ambasciata chiederà informazioni alle autorità”, ma che se la notizia trova conferma “pensiamo di protestare con forza”.

Forse l’accusa formale è di avere fotografato strutture militari della zona, ma c’è chi dice siano “sgraditi” giornalisti che vogliono far luce sull’attentato.

L’agenzia statale Xinhua dice che le bombe sono opera del Movimento islamico per il Turkestan orientale (altro nome dello Xinjiang), che ha pure minacciato attentati durante le Olimpiadi, e che ieri sono stati arrestati due presunti colpevoli. Arrestati pure 18 “agitatori esteri” per precedenti proteste, senza collegamenti con la bomba.

Ma l’esule Rebiya Kadeer, presidente dell’Associazione uighuri americani, risponde che la popolazione rifiuta simili atti di violenza e il governo non ha fornito prove di quanto dice. Per Dilxadi Rexiti, del Centro informazioni del Turkestan orientale, “non sembra trattarsi di un attentato terrorista” organizzato, quanto di “una violenza isolata per protesta contro la sistematica repressione cinese nella zona” e denuncia il tentativo di Pechino “di rappresentare l’intera popolazione uighura come terrorista”. Gli islamici uighuri denunciano da anni che Pechino opera un vero genocidio culturale, con frequenti arresti per accuse di terrorismo e torture in carcere. La polizia controlla ogni veicolo che entra a Kashgar e i residenti temono “che ora per noi diventi ancora più difficile”.

Gran spiegamento di forze anche a Lhasa, Capitale del Tibet, dove sono in corso “esercitazioni antiterrorismo” programmate proprio questi giorni, così da prevenire possibili proteste.

Intanto oltre 110mila poliziotti e 1,4 milioni di volontari vigilano Pechino, specie le principali vie e ponti e i luoghi più frequentati come piazza Tiananmen e Changan Avenue. Ad alberghi, pensioni, tassisti è chiesto di chiamare subito la polizia se un loro cliente è dello Xinjiang o del Tibet.

Questa tensione deve però essere poco percettibile a Pechino, dove Jacques Rogge, presidente del Comitato olimpico internazionale, ha detto che “queste Olimpiadi cambieranno per sempre la Cina e la percezione che ne ha il mondo”, senza spiegarsi meglio. Mentre oggi una coltre di smog ha coperto Pechino di nuovo (nella foto), sull’inquinamento ha risposto che “per la nostra commissione medica non ci sono problemi di salute per le gare che durano meno di un’ora o si svolgono al coperto”, mentre potranno essere spostate le gare di durata come maratona o corse in bicicletta.

Ma alcuni tra i 32 membri della squadra del Nepal, ieri in partenza per Pechino, sono più preoccupati per la situazione dei diritti che per l’inquinamento.

Deepak Bista, atleta di taekwondo e principale speranza nepalese, dice che “limitare la libertà di stampa e l’accesso a internet sono contro la libertà del Paese”. Perplesso è anche il maratoneta Arjun Basnet , mentre altri atleti e allenatori sono “concentrati solo sulle gare” e comunque tranquilli per la “sicurezza generale”. Rukma Shamsher Rana, membro del Consiglio olimpico dell’Asia, conclude che “la censura internet cinese è una sua questione interna”.

(Ha contribuito Kalpit Parajuli dal Nepal)