Pechino oscura molti siti internet cattolici: lotta contro la pornografia
Pechino (AsiaNews) – Le autorità cinesi continuano a oscurare molti siti internet cattolici, quali Radio Veritas of Asia, il sito della Conferenza dei vescovi regionali cinesi, tutti i siti cattolici di Taiwan e quelli della diocesi di Hong Kong. Il governo dice che vuole combattere la pornografia su internet, ma colpisce in modo sistematico siti privi di contenuti pornografici, che però mostrano fatti non del tutto in linea con la versione del Partito comunista.
La sistematica censura dei siti cattolici di Taiwan va persino “controcorrente” rispetto al grande miglioramento in atto nei rapporti tra Pechino e Taipei.
Il sito AsiaNews è oscurato da anni a fasi alterne e non è stato permesso vederlo nemmeno durante il periodo di grazia olimpico. Pure oscurato da mesi è il sito Reporters Without Borders, molto critico verso la Cina durante le Olimpiadi.
Pechino aveva promesso di allentare la censura durante i Giochi, consentendo la piena visibilità dei principali siti internazionali. In realtà la minor censura è durata solo per il periodo delle gare e soltanto nel villaggio olimpico. Subito dopo è ripresa la censura di siti esteri come Bbc, Radio Free Asia, Voice of America e altri. Sono stati pure “bloccati” molti siti “interni”, come il popolare “Legal World” (“Fa Tianxia”) per avere violato la legge cinese: ci scrivevano e davano consigli legali esperti come l’avvocato Liu Xiaoyuan, che dice che aveva almeno 2-3mila lettori per ogni articolo.
All’inizio di gennaio il portale statale China.com.cn ha annunciato l’oscuramento di “91 siti web pornografici o con contenuto volgare”. Non sono stati indicati, ma tra loro c’è il portale blog Bullog.cn, dove scrivono anche parecchi firmatari di “Carta 08”. La minaccia di oscuramento colpisce anche siti famosi come Google, Msn e le cinesi Baidu e Sohu.com, ai quali si chiede di impedire la circolazione di notizie che Pechino reputa “non corrette”.
A metà 2008 in Cina c’erano 253 milioni di internauti, secondo i dati ufficiali, che passano più tempo a navigare che in qualsiasi altro Paese (dopo Francia e Corea del Sud). C’è un grande e continuo scambio di informazioni, fotografie, opinioni e Pechino vuole mantenere il controllo dell’informazione. Di recente è stato persino introdotto l’obbligo, per i gestori di internet café, di identificare i clienti prima di lasciarli andare online.
“Il problema per il governo – commenta un internauta – è che la gente non ha più fiducia nell’informazione ufficiale. Preferisce cercare le notizie su internet”. E Pechino teme che serva a coagulare posizioni critiche non solo verso le maggiori questioni politiche (come Taiwan, Tibet, Madri di Tiananmen), ma verso qualsiasi problema attuale, come, di recente, lo scandalo per il latte alla melamina o la corruzione nel Partito.
Per questo a novembre è stato di nuovo arrestato il blogger Guo Quan di Nanjing (nella foto) con l’accusa di “sovversione verso il potere statale”, per avere pubblicato una lettera aperta che chiedeva riforme democratiche. Era già stato arrestato a maggio per avere criticato il governo sugli aiuti per le vittime del terremoto del 12 maggio in Sichuan.
21/09/2006
26/09/2017 11:21